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Il fascino del cinema
Alice Basso torna con il suo personaggio di carta, la dattilografa Anita, in un libro intitolato Una stella senza luce. Un bel giallo, ricco di atmosfera d’antan.
Siamo a Torino nel 1935. Anita lavora per “Saturnalia”, una rivista che pubblica racconti gialli, ed è una dattilografa. Un giorno in redazione arriva Leo Luminari, un grande regista del momento, che propone di trasporre uno dei racconti firmato da loro sul grande schermo. Anita ne è entusiasta, lui è un mito, anche se è:
“un ometto magro , altezza nella media, peso sotto la media, fronte più alta della media. Facendo la media di tutti i suoi tratti fisici, è un tipo medio. Eppure, qualcosa nell’atteggiamento di Monnè fa subito capire ad Anita che l’ometto di aspetto medio non debba essere un mediocre, ma al contrario qualcuno di una certa importanza.”
Tutti nutrono qualche perplessità, a causa del regime, e del pericolo insito alla censura. Ma il problema viene presto risolto perché il regista viene trovato morto in una camera d’albergo, poco dopo il loro incontro. Chi è stato? La censura ha forse deciso di metterlo a tacere per sempre? O vi è dell’altro? Anita indaga, ma è presa tra mille problemi: perché sogna sempre di sposarsi in abito nero? Il suo inconscio le sta parlando, forse? Inoltre il suo periodo di prova lavorativa di sei mesi sta per scadere e lei dovrà far fronte alla promessa fatta al suo futuro marito e abbandonare il lavoro. Come farà?
Un bel giallo, che ci riporta indietro nel tempo. L’autrice si rivela particolarmente abile e capace nel descrivere tempi, modi, usanze in voga negli Anni Trenta, e il lettore non può che restarne affascinato. Come si dimostra altrettanto abile nella descrizione di Torino e il cinema:
“Non è un segreto per nessuno che Roma abbia ormai strappato a Torino il titolo di capitale del cinema. Voi siete troppo giovani per ricordare cos’era Torino prima della guerra, ma avrete sicuramente sentito parlare di quando questa città era un grande teatro di posa a cielo aperto, e le case cinematografiche facevano a gara per accaparrarsi gli scorci paesaggistici migliori in cui montare le piattaforme, i terreni migliori per erigerci i capannoni per le riprese. Cabiria, Maciste, le comiche di Ridolini … tutto, dal capolavoro internazionale al cortometraggio d’intrattenimento, nasceva e sbocciava all’ombra della Mole. Qui erano gli attori, i registi e i produttori. Dall’arte al soldo all’attrezzatura ai divi, tutto ciò di cui v’era bisogno per fare un film, lo si poteva trovare fra la Dora e il Po.”
Unico neo è la narrazione un po’ troppo prolissa, che spesso si dilunga troppo con il rischio di vagare nell’incommensurabile. Per il resto una lettura di genere precisa e prolissa, che immerge il lettore in atmosfere di altri tempi, neanche troppo lontani. Nel complesso una bella storia con personaggi dipinti con sapienza narrativa.