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Per Vanina: due morti travolti da insolito destino
26 dicembre 2016: il vice-questore Vanina Guarrasi è raggiunta da una telefonata dell’ispettore Marta Bonazzoli mentre si trova a Palermo, a festeggiare con la famiglia. Sembra che, in un albergo sulle pendici dell’Etna, sia stato rinvenuto il cadavere di una donna. L’edificio è abbandonato da decenni, ma il custode, salito durante una nevicata notturna per un sopralluogo, avrebbe visto il corpo in una delle sale buie. Il condizionale è d’obbligo perché, all’arrivo delle forze dell’ordine non viene rinvenuto alcunché. Perciò Vanina potrebbe pure continuare le sue meritate ferie, ma, forsanche per schivare gli eventi mondani in cui sua madre vorrebbe coinvolgerla, torna rapidamente a Catania, perché il suo sesto senso le dice che il morto, prima o poi, salterà fuori.
Infatti, solo due giorni dopo, nel cimitero di Santo Stefano, a poca distanza da casa sua, non solo viene ritrovata la salma della dottoressa Azzurra Leonardo, stimato pediatra cittadino, ma assieme a lei c’è pure monsignor Nino Musco, strangolato. Entrambi sono sistemati, in un macabro teatrino “natalizio”, all’interno della cappella di famiglia del sacerdote. La faccenda diventa subito spinosa, un po’ perché è coinvolta la Curia, un po’ perché non ci si spiega il motivo per il quale i due corpi siano stati messi assieme addobbati con tanto di nastri rossi. Pare che neppure si conoscessero: eppure... Poi si dice che fossero entrambe degnissime persone: chi può aver avuto un movente concreto per gli omicidi?
I romanzi della Cassar Scalia sono sempre godibili e divertenti, scritti con uno stile garbato e fluido che ci accompagna lungo i binari non di un giallo classico, inteso come un enigma proposto al lettore, quanto, piuttosto, del racconto di un’indagine poliziesca con i ritmi di una investigazione del mondo reale. Le storie, mai troppo arzigogolate e il cui esito, magari, uno può intuirlo abbastanza in fretta, hanno il sapore della credibilità, con la sola eccezione, forse, della presenza ossessiva e (diciamocelo) pesantemente indiscreta, del commissario in pensione Patanè, la cui assillante frequentazione dei locali della Squadra mobile sarebbe assai meno tollerata pur essendo, talvolta, risolutiva. Nel romanzo, invece, risulta spiritosa, quando non proprio comica. Per il resto tutti i personaggi, ormai ben collaudati e rodati nel sedimentarsi delle storie, sono simpatici e ben costruiti, sì da risultare familiari e gradevoli, con le loro piccole manie e peculiarità. La loro vita personale fa sommessamente capolino tra le righe dedicate all’indagine rendendoceli più umani e vicini.
Certo si fa davvero fatica a non considerare Vanina Guarrasi una Salvo Montalbano al femminile. La Catania di Vanina assomiglia tanto alla Vigàta del personaggio di Camilleri e la stessa squadra investigativa, pur con le diverse personalità coinvolte, ci spinge a una automatica associazione con la premiata ditta “Augello, Fazio &Co.”. È pur vero che il catanese della Cassar Scalia è meno pervasivo e invadente del vigatese di Camilleri; l’A. concede più spazio anche ai comprimari; la mafia non è solo una lontana quinta della scenografia, ma qualcosa in cui, purtroppo, di riffa o di raffa si va sempre a sbattere. Tuttavia i punti di contatto sono tanti ed è difficile ignorarli.
In definitiva, però, quelle assonanze non disturbano e il romanzo si fa leggere con piacere. Catania, puntigliosamente descritta, risulta ben presto familiare, anche per chi non è mai stato nella città etnea, e si è presto preda delle sue atmosfere affascinanti e di quel suo essere schiacciata tra un mare splendido e ‘a muntagna sempre impennacchiata di fumo e minacciosamente incombente.
Infine le immancabili incursioni nella cucina locale strappano un amabile sorriso e un languorino. Insomma non un’opera superlativa, ma un buon libro per qualche ora di piacevole compagnia.
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Un ultima osservazione: onestamente, anche al termine del romanzo, non ho compreso il senso del titolo, ma vabbè...