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Ardelia scende in campo in prima persona
Ardelia Spinola, medico legale in quel di Albenga e Alassio è impegnata nella solita routine della sua professione che, ahimè, comporta pure tagliuzzare cadaveri di esseri umani morti ammazzati. Si comincia con l’ingegner Fugassa, che, in una notte d’agosto, ha deciso di tirarsi una pistolettata in testa, lasciando solo due righe che non dicono nulla o, magari, troppo. È stato un vero suicidio o un omicidio mascherato? Anche se tutto concorda per avvalorare la prima ipotesi, Ardelia è tormentata da dubbi e indecisioni mentre firma la sua perizia: perché un uomo sano, anche se perseguitato dalle disgrazie, giunge alla decisione definitiva di togliersi la vita? Cosa l’ha portato a quella scelta tragica? Però i fatti incalzano e, dopo l’ingegnere suicida, si deve procedere all’autopsia di un vecchietto, tal Achille Salviati, ucciso a pietrate in testa, ma pure brutalmente evirato e con una inquietante V (come Vendetta?) incisa sul petto. Infine c’è il triste caso di una ragazzina di nemmeno tredici anni, pestata a sangue e scaricata in malo modo davanti all’ospedale, come un sacco di immondizia.
Ma Ardelia ha pure una vita privata che negli ultimi sei mesi ha subito una serie di brutali scossoni: il tradimento e la separazione dal fidanzato, il commissario Bartolomeo Rebaudengo; la morte della madre, anaffettiva e ormai malata terminale di Alzheimer, ma pur sempre una madre; la conoscenza (l’amicizia?) con uno strano ottuagenario, il dott. Steiner, medico ebreo, vicino di casa dell’ingegnere suicida, ricco di sorprese e di incognite; la, forse, amicizia, con un gruppo di signore della “Albenga bene”, strane e fatue, ma, chissà, pure riposanti. Infine, per ultimo, ma non meno importante, il riavvicinamento di Bartolomeo con il quale tornare ad indagare anche sotto le coperte.
Che tutti questi fatti, apparentemente slegati gli uni dagli altri, siano destinati a rifluire insieme (altrimenti dove finirebbe l’unicità d’azione nel romanzo?) con sorprese e agnizioni non sempre inaspettate, raramente gradevoli, ma comunque sempre sconvolgenti?
Questo è il quarto romanzo dedicato ai gialli della Riviera ligure di ponente e l’A. muta radicalmente marcia, anzi, cambia proprio la vettura con cui procedere nel racconto. Dopo che, nei primi tre libri, il protagonista, anche un po’ invadente, era stato sempre e solo Rebaudengo e la storia veniva riferita in terza persona, in modo abbastanza distaccato e con una visione neutrale dei comportamenti e degli animi dei vari attori, qui ci troviamo catapultati nella testa di Ardelia, affollata di pensieri, ansie, ubbie, incertezze, desideri, gelosie e ritrosie. Muta pure lo stile, meno dialogato e più fatto di elaborazioni interiori, di sedute psicanalitiche dell’io narrante, di flussi di pensiero che si intersecano e sovrappongono.
L’operazione, non agevole, è senza dubbio interessante e sostanzialmente vincente. Consente un maggiore approfondimento della personalità del medico legale con la quale si entra in simbiosi, nonostante il suo carattere spigoloso e non sempre piacevole, nonostante i suoi rigorismi, isterie, e durezze. Partecipare alle sue giornate trascinati dalla corrente dei suoi pensieri, siano essi dedicati a risolvere i terribili dilemmi investigativi, a metabolizzare tragedie orribili come la pedofilia o la Shoah, a elaborare qualche prelibatezza culinaria o persi in quelle che la stessa Ardelia definisce “seghe mentali”, è affascinante e, per certi versi esaltante. Si passa da argomenti frivoli, a volte anche esilaranti, a temi seri che ci impongono una meditazione profonda sull’animo umano, sulla sua perversione e sui suoi mille labirinti.
In tutto ciò la trama gialla fa solo da ordito sul quale ricamare vicende e ragionamenti, anche (anzi, spesso) gravi che arricchiscono di contenuti il romanzo e anche chi lo legge.
Non sempre la lettura scorre fluida, perché a volte si rimane un po’ impelagati in questo viavai di idee arruffate, ma non risulta mai banale e mai noiosa. Un plauso speciale va all’invenzione di alcuni personaggi, in primis l’affascinante e per certi versi inquietante dott. Gabriel Steiner che ci socchiude la porta sul terribile panorama dell’Olocausto, ma che pure ci fa conoscere una personalità scolpita a tutto tondo, tra il furbesco, lo spietato e il geniale.
Insomma questo quarto lavoro della Rava segna un deciso salto di qualità dell’A., già preannunciato, in qualche modo, anche dal romanzo che lo ha preceduto (Cappon magro) e che fa ben sperare per l’evolversi della serie.