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Una bella ucraina per Bartolomeo
Ildebranda Peluffo, nobile e un tempo esuberante signora ligure è passata a miglior vita, nel suo palazzo ad Albenga. A scoprirne il corpo, a letto, composto, come se stesse dormendo, è stata la badante ucraina (con l'accento sulla "i"!), Svitlana Myhailivna Lysenko, quella mattina, quando era entrata in camera per svegliarla. Sin qui, non ci sarebbe nulla di innaturale: la signora Ildebranda aveva ormai ottantadue anni e, seppure ancora in buona salute, si sa, a quell’età ogni giorno può essere l’ultimo, ed è ciò che sta per verbalizzare il medico di famiglia. Tuttavia, basta un’occhiata al tecnico della scientifica per individuare i segni di una emorragia petecchiale sfuggita al distratto dottore: è assai probabile che la signora sia stata “aiutata” a morire: probabilmente è stata soffocata con un cuscino. All’arrivo del medico legale, Ardelia Spinola, fidanzata del commissario, anzi, vice-questore, Bartolomeo Rebaudengo, i dubbi scompaiono proprio: la donna è stata soffocata! Anche se nella casa nulla appare fuori posto e in camera da letto l’ordine regna sovrano, quella notte è avvenuta una brutale aggressione ai danni della Peluffo.
Inizia così la nuova indagine per Rebaudengo, che deve cercare di venire a capo del busillis: chi aveva il movente, l’occasione e i mezzi per “far secca la vecchia”? A tutta prima il sospettato principale dovrebbe essere Svitlana, che afferma di non aver mai lasciato la casa quella notte, ma, ugualmente, di non aver sentito nessuno entrare a sua insaputa. Tuttavia, proprio perché la difesa appare così fragile, Rebaudengo fatica a ritenere la donna colpevole. Tra l’altro, pare che fosse diventata sinceramente amica della signora Peluffo e non avesse alcun movente credibile. L’unico altro indiziato che aveva relazione con la defunta è il nipote, Guidobaldo Peluffo, figlio di un fratello, che, guarda caso, era venuto a trovarla proprio il pomeriggio precedente la morte. Ma, come testimonierà la moglie, l’uomo se ne sarebbe ritornato a casa in Piemonte quel pomeriggio stesso, cenando con la famiglia alla solita ora. E allora chi ha commesso il delitto? Possibile che l’autore vada ricercato nel passato, piuttosto avventuroso e turbolento della nobildonna? O che l’assassina sia proprio Svitlana e che i dubbi sulla sua innocenza, che agitano la coscienza di Bartolomeo, siano solo causati dal fascino della donna a cui lui, colpevolmente, non riesce a restare insensibile, rischiando, tra l’altro, di mandare all’aria il fidanzamento con Ardelia?
Questa è la terza indagine dedicata da Cristina Rava al simpatico commissario piemontese, trapiantato nella riviera di ponente. Ormai, con il sedimentarsi delle storie, il suo personaggio appare ben delineato e, per coloro che hanno già letto i precedenti volumi, familiare e amico. In sostanza si comprendono e apprezzano i suoi sentimenti e turbamenti, si intuiscono le sue reazioni prima che siano esplicitate e, insomma, ci si sente come accanto ad un conoscente di lunga data. Brava, quindi, l’A. a dare continuità e coerenza al racconto. Al contrario, in questa nuova storia appare più in ombra la figura di Ardelia, in parte oscurata da Svitlana, che, invece, viene dipinta con attenta cura, e diligenza; a tutto tondo. Il medico legale, mette in mostra, nelle poche occasioni in cui la incontriamo, un carattere aspro e spigoloso che ci era ignoto prima, mentre la badante ucraina ci viene mostrata in tutta la sua malinconica grandezza. Di lei sono messi accuratamente in luce gli aspetti dolenti e tragici, la vena nostalgica e il difficile passato in patria. Belle le pagine in cui lei rievoca i ricordi, anche tragicamente dolorosi, e le dolci sensazioni che la memoria le riporta alla mente e lei riferisce al commissario, inquirente, ma pure confidente.
In questo romanzo si percepisce chiaramente che lo stile della Rava è notevolmente migliorato e maturato. L’A. è più attenta nei dialoghi, mai troppo lunghi e defatiganti; é abilissima nelle descrizioni ambientali; entra con maggior cura nella personalità dei suoi attori principali.
La trama gialla non è particolarmente intricata e il lettore attento può farsi un’idea piuttosto precisa di chi sia stato l’autore del delitto, già da metà dello svolgimento. In fondo, se è vero il teorema di Checov in base al quale, se è presente una pistola al primo atto è necessario che questa spari entro il terzo, la Rava la “pistola” metaforica ce la mette sotto gli occhi già al capitolo quarto. Tuttavia, la mancanza di una vera sorpresa all’atto dell’arresto non è una pecca del romanzo che vive soprattutto delle storie personali dei protagonisti. E' piacevole aggirarsi tra i carruggi di Albenga in loro compagnia e sentirli raccontare le loro vite.
Insomma si tratta di un romando totalmente appagante e divertente, con un buon equilibrio tra scene d’azione e quadretti intimisti, tra enigma e riflessione. Sicuramente consigliabile.