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Ci vuol naso sia per le trifole che per le indagin
Al commissariato di Alassio si sta indagando su un gruppo di sospetti noti alle forze dell’ordine per traffico di stupefacenti. Sembra che il centro di incontro e smistamento della droga sia una galleria antiquaria da poco aperta e alla cui inaugurazione ha partecipato pure il commissario Rebaudengo assieme alla “fidanzata” dottoressa Ardelia Spinola. Mentre la squadra è impegnata nella quotidiana sorveglianza dei sospetti avviene un altro fattaccio in una vecchia dimora poco distante. Il dott. Rinaudo, anziano medico in pensione, è trovato morto in un lago di sangue. Pare che il suo carnefice prima lo abbia lungamente torturato con coltellate in varie parti del corpo e, poi, gli abbia sparato cinque volte con una pistola calibro 7.65; l’ultima, in fronte, con l’uomo probabilmente già morto, quasi a voler sugellare la fine del supplizio.
Rebaudengo, per quanto cerchi attentamente sia nel passato della vittima che nella vecchia dimora non trova alcun indizio che aiuti a far luce sull’atroce delitto. Verrà in suo aiuto il collega Giuseppe Geraci, sovrintendente prossimo alla pensione. L’uomo gli dirà che quell’omicidio brutale gli rammenta in modo inquietante quello di un tal Mortara, anche lui anziano, anche lui ucciso a colpi di pistola cal. 7.65 e coltellate, anche lui residente in una vecchia casa cadente. Ma quell’omicidio era avvenuto dieci anni prima, il Mortara era implicato in traffico di droga e il suo assassino era morto subito dopo, nella Ferrari fatta saltare da una bomba. Possibile che i due fatti siano collegati?
Mentre Rebaudengo si divide in due per portare a soluzione sia l’indagine per omicidio che quella per traffici illeciti, prosegue tra alti e bassi la sua relazione con Ardelia. Il medico legale, tra autopsie illuminanti e cenette da gourmet, in più di una occasione lo instraderà verso la soluzione finale delle indagini, anche con la collaborazione dell'amica Gigi, che, guarda caso, lavora proprio dagli antiquari.
Questo è il secondo romanzo con protagonista il simpatico poliziotto piemontese, “trapiantato” tra i liguri mangia-pesce. Ritrovarlo a dipanare sia beghe professionali che, talvolta, familiari nelle ambientazioni già note, è piacevole come tornare ospiti di una a casa in cui ci si era trovati a proprio agio, tra persone amichevoli. Cristina Rava ha sempre una prosa gradevole e accattivante. Forse, questo romanzo è meno riuscito di quello d’esordio (Delitto al nero di seppia). I capitoli a volte appaiono un po’ slegati gli uni dagli altri e la tecnica dei lunghissimi dialoghi a volte tedia e a volte confonde. Ma complessivamente il libro è soddisfacente.
La trama gialla forse non è originalissima, ma ha il grande pregio di apparire vera: non ci sono intrighi rocamboleschi o delitti premeditati con matematica malizia e questo è un pregio non da poco, perché ci fa sentire partecipi di una vicenda che potrebbe essere realmente avvenuta. Poi è sempre gradevole vivere, con i personaggi, la loro vita di tutti i giorni, al di fuori dall’indagine che, sì, è il fulcro attorno a cui gira tutta la narrazione, ma pure non soffoca il fluire del racconto con la sua immanenza.
Insomma con questa seconda prova l’A. non ha scritto il romanzo perfetto, ma comunque un libro che si fa apprezzare e dona alcune ore di sano diletto.