Dettagli Recensione
L'esercito italiano di commissari e vicequestori
Antonio Manzini è probabilmente uno degli autori più letti d’Italia: lo deduco dal fatto che mi ritrovo ogni suo romanzo sempre in classifica, appena ne esce uno, e devo dire che Sellerio sceglie sempre le immagini di copertina con saggezza, perché restano impresse. Dunque devo dire che Manzini aveva già destato in me un po’ di curiosità, e alla fine eccomi qui, a esprimervi la mia opinione sulla sua ultima fatica: “Le ossa parlano”.
Che dire… mi è ormai ben chiaro quello che piace a gran parte del pubblico di lettori italiano: commissari, ispettori e (come nel caso del Rocco Schiavone di Manzini) vicequestori in tutte le salse. I gusti letterari (e non solo) delle masse italiche non sono poi così variegati. Tralasciando questo discorso - che richiederebbe un triste incontro di dibattito di diverse ore - bisogna che io analizzi questo romanzo slegandomi da queste considerazioni. Se devo dare un pregio principe a questo romanzo è probabilmente il suo protagonista. Molti mi diranno che è una considerazione un po’ scontata, perché un buon protagonista dovrebbe essere la conditio sine qua non per la realizzazione di una serie di romanzi di successo: vi immaginate un Chandler senza Marlowe (anche se riferendoci a Chandler parliamo di un autore dall’alto spessore letterario), un Camilleri senza Montalbano, un De Giovanni senza Ricciardi? No, ma al giorno d’oggi nulla è scontato e bisogna dire che Manzini ha disegnato un protagonista di un certo spessore: sfaccettato, tormentato, dolce e amaro, che sa strappare un sorriso ma anche innervosire per i suoi comportamenti a volte insensati e dunque umani… ovviamente pieno di donne, come il 99% dei personaggi del genere, ma sto tornando al discorso di cui sopra e mi fermo subito. Proprio parlando del genere di ironia usata da Manzini, devo dire che riesce a strappare più di un sorriso grazie alla colorita dialettica romana di Schiavone, ma anche grazie ai personaggi di contorno: divertente è infatti, per esempio, la scena della scrittura della lettera a Italo, anche se si tratta di un espediente comico molto simile a quello di napoletana memoria che ha come protagonisti Totò e Peppino De Filippo. Non ho potuto fare a meno di pensarci.
Oltre questo, la storia è incalzante e si lascia leggere: il lettore vuole procedere, sapere come andrà a finire, scoprire chi è l’assassino. Rispettata dunque la seconda conditio sine qua non del genere, sebbene manchi il fattore mascella spalancata alla scoperta dell’assassino; ma penso che ormai questo elemento sia stato esaurito dai milioni di romanzi scritti dalla nascita del genere a oggi e soprattutto grazie a quella geniaccia che era la Christie (come fai a competere con una che ti mette come assassino il narratore o tutti i maledetti personaggi della storia?). La trama - lo capirete leggendola - non è certo qualcosa di leggero da sopportare, non è adatta a chi è debole soprattutto per quanto riguarda questo tipo di argomenti, ma procede in maniera spedita e lineare, senza contraddizioni né intoppi fino alla fine.
Leggibile senza aver letto altri romanzi dell’autore che hanno come protagonista Schiavone, “Le ossa parlano” è un romanzo che ovviamente lascia diverse questioni in sospeso in modo da alimentare l’attesa per la prossima uscita dell’autore, che evidentemente ha deciso di dedicare la sua vita nel delineare quella del suo personaggio di fiction. Scelte. Un romanzo che può piacere a tutti gli appassionati del genere ai quali, tuttavia, mi arrischio a dare anche un altro consiglio: leggete Manzini, leggete Camilleri, leggete De Giovanni… ma sappiate che esiste anche altro!
“Eccheccazzo!”, aggiungerei, citando lo stesso Manzini.
“I binari dell’esistenza si incontrano e si dividono senza lasciare neanche una traccia del loro coincidere.”
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