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La casa senza ricordi e senza movente
«La morte la stava aspettando e adesso lei se l’era portata addirittura a casa. E fra poco, terminata la merenda, avrebbe finalmente parlato, annunciandole con voce innocente ciò che nessun essere umano vorrebbe mai sentirsi dire.»
Dodici anni. Il suo nome è Nikolin ed è scomparso da otto mesi con la madre Mira per i boschi del Mugello, Toscana. La donna che lo ritrova è una allevatrice che ogni mattina alle 3.47 si sveglia e si reca alla valle dell’Inferno. I cani hanno paura, lo temono. I suoi occhi non parlano, non si chiudono. Sono specchi vacui di un’ombra che abita il corpo. Cosa è successo al bambino? Perché non proferisce parola? E che fine ha fatto la madre? Gerber viene subito interpellato per quello strano ritrovamento. Il caso è oscuro e al tempo stesso fa preoccupare quegli adulti che subito pensano al peggio. Un bottone sfilato in un contesto di massimo ordine riesce a far risvegliare il giovane dal torpore. Tre condizioni da accettare senza remore e una verità che potrebbe sconvolgere. Ma che sia davvero una ammissione di colpevolezza? Gerber non lo pensa e a buona ragione. Da qui inizia la psiconanalisi del ragazzo ma soprattutto iniziano le sedute di ipnosi. Perché Niko sembra essere chiuso in una dimensione parallela, in una “casa senza ricordi” dove non ha voce in capitolo e dove sono altri a manovrarlo. Ecco, dunque, che per ogni ipnosi è necessario “un innesco”, sempre diverso e sempre più particolare.
Gerber arriverà a mettere in discussione la propria carriera pur di raggiungere la verità. Si trascura, trascura i propri pazienti, scopre e realizza di aver a che fare con un ipnotista forse molto più bravo ed esperto di lui. Talmente bravo da raggiungere dimensioni veramente profonde e oscure della mente. Il nostro protagonista è a una svolta, inoltre, della propria vita: separato da quasi un anno e mezzo dalla moglie e lontano quindi dal figlio a causa del caso Hanna Hall conosciuta ne “La casa delle voci”, è in balia dei cambiamenti. Tante evidentemente le premesse per quest’ultimo lavoro di Donato Carrisi.
«Ma è impossibile discernere un pericolo quando si nasconde dietro la maschera dell’ambiguità, si disse Gerber.»
Con “La casa senza ricordi” Donato Carrisi dona ai suoi lettori un romanzo con tanti spunti e tante possibilità di sviluppo che purtroppo restano disattese. I presupposti di partenza ci sono tutti. Un mistero che si infittisce, ambientazioni tutto sommato apprezzabili e sufficientemente veritiere (da toscana il riscontro o meno viene automatico) seppur con qualche imprecisione, personaggi delineati nei tratti prevalenti, un giovane che con la caratteristica delle sue palpebre affascina. Poi iniziano i refusi e chi legge ci passa sopra pensando che alla fine sia una scelta editoriale perché sennò non se lo spiega, magari una scelta meno arcaica di alcune forme grammaticali seppur la linea generale sia altra, iniziano le sedute di ipnosi che sono onestamente le più attese (l’unica cosa davvero attesa) e anche le mestizie e le petulanze di Gerber che alla lunga sfiancano. In tutto questo il coraggioso e imperterrito conoscitore giunge a pagina 247 di 398 e ancora uno slancio il libro non lo ha preso. La curiosità resta ma chiaramente il lettore ha sempre meno la sensazione di trovarsi davanti a un thriller. La lettura è sempre più farraginosa e va avanti solo e soltanto per l’anzidetta curiosità. Giustamente il finale il conoscitore, a questo punto, lo vuol conoscere. Si stupisce anche, però. Non ci ha mai messo così tanto tempo a finire un libro di Carrisi, nemmeno nelle ipotesi di mancata piacevolezza della lettura. Tuttavia, ancora, l’incedere è lento e farraginoso e quello smacco atteso non c’è. Anzi. Si scopre qualcosa del passato, si giunge a comprendere un po’ chi muove le fila ma alla fine? Alla fine il finale è aperto. L’epilogo lascia in sospeso tutte, e sottolineo tutte, le domande del lettore. Dalla prima all’ultima. Anche il mistero dell’ipnotista sconosciuto come delle sorti del bambino non si ha dato alcuno. Solo qualche riscontro delle sue origini e del “vero cattivo” a cui verrebbe, si ipotizza perché anche qui siamo sul vago, restituito.
In tutto questo i refusi, di nuovo loro, non mancano in un alternarsi, ancora, tra presente e passato di Pietro stesso. È chiaro che sin dall’inizio nelle intenzioni di Carrisi vi fosse l’obiettivo di dar vita a un romanzo di transizione, ma può “La casa senza ricordi” definirsi soddisfacente? A voi la risposta. Dal mio punto di vista si salvano solo le sedute di ipnosi avallate da chiara previa documentazione dell’autore come riportato in note a conclusione dello scritto. Certo non lo definisco un thriller ma onestamente nemmeno una serie riuscita. Se “La casa delle voci” mi aveva addirittura fatto ridere in alcuni passaggi inverosimili e inconcreti, in “La casa senza ricordi”, a cui avevo dato una possibilità senza mettere avanti pregiudizio alcuno, troppe sono le falle rispetto ai pregi per definirlo un libro riuscito.
«Alcuni recano in sé ferite invisibili, che sanguinano continuamente. Oppure vuoti incolmabili in cui riecheggiano urla disperate. Ciò che ho vissuto mi ha portato fin qui, perché dovevo mostrarlo a qualcuno. E adesso tu verrai con me.»
Indicazioni utili
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- no
No: a chi non ama questa tipologia di scritti.
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