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Il destino si scrive al contrario
Lungi da me, semplice lettrice dilettante, pretendere di conoscere le ragioni e i processi mentali di un abilissimo narratore quale Maurizio De Giovanni, ma non posso fare a meno di pensare che, dopo un certo numero di personaggi amatissimi dal pubblico e incredibili successi editoriali, l’autore partenopeo abbia voluto rinnovarsi, cimentandosi in una vera e propria sfida letteraria: creare un protagonista per sottrazione, rimuovendo tutto ciò che permette di instaurare un legame immediato con il lettore.
Ecco così Sara Morozzi, agente dei Servizi Segreti in pensione, che, per natura e professione, è diventata maestra nell’arte di scomparire sullo sfondo, di rendersi invisibile, per essere libera di osservare e comprendere ciò che la circonda. Il suo colore è il grigio, simboleggiato dai capelli che non tinge per amor di sincerità. La sua voce è un impenetrabile silenzio. Le sue emozioni sono abilmente celate dietro una cortina di sicurezza e infrangibilità, e non vengono svelate mai, nemmeno al lettore, che è chiamato sempre a intuire tra i non detti.
In questo quarto episodio della serie a lei dedicata, Maurizio De Giovanni mette la sua protagonista di fronte a un immenso dolore, la malattia dell’amato nipotino, colpito da un tumore incurabile. Mentre la mamma Viola si consuma dalla disperazione e l’amico Pardo si rifiuta di accettare la realtà, Sara si trincera nel suo silenzio di osservatrice. Ancora una volta, però, sarà una sua intuizione ad accendere un bagliore di speranza, conducendoli alla ricerca di un medico russo che potrebbe salvare il piccolo Massimiliano. Sarà una strada da percorrere al contrario, verso il passato, e che ci catapulterà nel clima sociopolitico del 1990 per riportare alla luce una verità che continua a sanguinare, ieri come oggi.
“È il futuro che è scritto e pianificato dagli eventi del passato. Il destino esiste, ma all'indietro”.
La trama si sviluppa dunque su più piani narrativi, raccontando un presente che cerca nel passato e un passato che torna con i suoi effetti sul presente, senza perdere mai ritmo e attrattiva. È però davvero difficile affezionarsi a questa protagonista dura, capace di abbandonare un figlio per inseguire la verità di un grande amore, e riconoscersi nella sua glaciale imperturbabilità. Sarebbe proprio questa la sfida, farcela amare. Nel mio caso, non è stato così e quest’assenza di empatia ha sicuramente influito sulla mia soddisfazione complessiva. Purtroppo, mi è parso che anche altri elementi narrativi siano stati vittima dello stesso processo di sottrazione: l’ambientazione, l’approfondimento emotivo dei personaggi a contorno, l’originalità dello sviluppo della storia che prende invece sempre la via più prevedibile.
Troppi meno, almeno per me.
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