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Teresa e i tanti scheletri
«Era cenere, ma la sofferenza è diventata fuoco. Ti ha resa incandescente. E dalla cenere della tua vita precedente sei rinata. Questo è il destino dei comandanti, commissario Battaglia. Non abbassare mai più la testa, davanti a niente e a nessuno. Nemmeno te stessa.»
Ieri e oggi. Ventisette anni fa e il presente contemporaneo. Un continuo alternarsi nella narrazione, capitolo dopo capitolo, per sapere cosa è accaduto un tempo e ricomporre il puzzle del mondo di oggi. Una Teresa Battaglia alle prime armi, una Teresa Battaglia logorata dalla malattia, esperta e sempre accompagnata dal fedele Massimo Marini. Eppure, Teresa, quel che è stato non può dimenticarlo. Né da punto di vista affettivo, né da quello lavorativo. Ancora vi è lui, lui che le mani di sangue più volte si è macchiato e che anche adesso che è rinchiuso in prigione e si è fatto arrestare non nega di aver compiuto altri omicidi e di essere stato assoldato per farlo. Uno in particolare sembra essere collegato a Teresa e sembra avere quale obiettivo indiretto lo stesso carnefice. Ma perché? Chi può avere un siffatto interesse? Chi e che cosa può muovere queste fila?
Ilaria Tuti torna in libreria con un terzo capitolo dedicato alle avventure della sua fortunata protagonista. Dopo lo spin-off di “Luce della notte” e il piccolo intervallo rappresentato da “Fiore di roccia”, ecco che torna a narrarci delle avventure del suo personaggio principale.
Tuttavia, sin dalle prime battute, e ancor più nello svolgersi ed evolversi di questo romanzo, viene spontaneo porsi una domanda: siamo di fronte a un thriller o a cosa? La vicenda si sviluppa in modo lineare anche se privo di mordente a causa di questo alternarsi di lassi temporali che alla lunga annoiano e sfiancano, ma a prescindere da ciò, vi è una accelerata inaspettata stante che l’autrice vuole da un lato dare uno smacco al rapporto con Marini e dall’altro svelare parte di quel passato della donna atto a spiegare perché ella così è. Il problema è che in termini di proporzioni di narrato questo aspetto è così ampio che alla fine non sembra più di trovarsi di fronte a un thriller. Scelta condivisibile per le ragioni ma non necessariamente nella costruzione. Il confine tra un thriller che sappia gestire aspetto emotivo e aspetto del giallo è molto sottile. I titoli della Tuti non sono mai stati titoli crudi alla Nesbo o alla Zilhay, per citare due esempi dello stesso filone a loro volta opposti, non hanno mai avuto le stesse elaborate e convincenti trame, ma avevano delle storie abbastanza ben contestualizzate che anche piacendo meno avevano un loro perché.
Già da “Luce della notte” si evince che la scrittrice ha desiderio di parlare di tematiche più vicine all’attualità (dall’adozione alla violenza sulla figura femminile e domestica) e non c’è niente di male in questo. Ma se vuole farlo in un romanzo thriller deve fare leva su quelli che sono gli aspetti del filone di appartenenza e rispettando quelli che ne sono i confini o, in alternativa, scrivere un romanzo che non vi appartenga.
“Figlia della cenere” è un libro che vuol puntare sull’emozione e che per questo trascura quello che è il suo essere e quella che è sempre stata la serie. Cade in un vortice dal quale fatica a riemergere e per effetto è come se perdesse la sua essenza.
Io sono sempre stata un po’ la voce dal coro su questa scrittrice in quanto per me lei non è mai stata una thrillerista, la sua penna trova libera evoluzione e capacità in romanzi che appartengono a filoni non di questo genere. “Fiore di roccia” ne è una conferma. Dunque trovarmi innanzi a un “Figlia della cenere” e dopo a un “Luce della notte” mi ha fatto molto riflettere e lasciato tante perplessità.
Se in “Luce della notte” il conoscitore poteva passarci sopra per le ragioni che si trovano alla sua base (fatti occorsi durante la pandemia e che hanno coinvolto direttamente la Tuti) e perché alla fine si tratta di una storia con i connotati quasi fiabeschi, il ritorno alla serie vera e propria non consente un’altra attenuante.
II lettore amante della saga si aspetta un thriller e si trova di fronte a un romanzo che di thriller non ha niente e che si avvolge e piega su se stesso. Il lettore che già prima non era convinto tende a desistere. Il lettore che si trovava a metà e che ancora non aveva preso una posizione netta e definitiva si ritrova con un bel “mah”.
Capisco la necessità di spiegare chi è la Battaglia e perché. È un passo necessario nell’evoluzione della vicenda, capisco anche la necessità dell’accelerata con Marini, ma era davvero necessario farlo così e in un unico libro?
La sensazione è infatti anche quella che i tempi non siano stati rispettati, che si sia passati da una “prima” a una “quinta” marcia senza prima consentire al motore di raggiungere i necessari giri per scalare.
Il risultato è un libro fiacco, che fatica a decollare, che non sorprende per quel “colpo di scena”, se così vogliamo chiamarlo, che viene proposto a più di 2/3 dalla storia, e che lascia più dubbi che certezze. Di fatto non coinvolge, stanca.
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