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Un carlino reticente e tanti pipistrelli drogati
Secondo appuntamento investigativo con Anna Melissari, la strana detective che parla ad animali e piante. Questa volta l’incarico che ha ricevuto il suo capo, Giovanni Cantoni, è quello di scoprire se Oxana, la badante ucraina del neo-defunto Luigi Barani, abbia in qualche modo plagiato il vecchio per ottenere la cospicua donazione disposta col testamento. L’industriale, da anni in pensione, è stato trovato impiccato nel suo studio, proprio dalla donna che gli faceva da governante. Il figlio Andrea pensa che questa lo abbia influenzato in qualche modo, per ottenere il lascito. Se paragonato all’eredità, plurimilionaria, è una goccia, ma il figlio vuole vederci chiaro.
Durante il sopralluogo nella villa dove s’è verificato il fattaccio, mentre il suo capo e Tonino, il fido assistente, parlano col figlio, Anna si apparta col cane di casa e scopre qualcosa di potenzialmente sconvolgente: quel suicidio potrebbe non essere stato del tutto volontario. Carl, il carlino del vecchio Luigi, ha assistito al gesto e le comunica che era presente pure una seconda persona, la quale non solo non ha fatto nulla per impedirlo, ma, anzi, potrebbe averlo istigato. Tuttavia il cagnetto è un perverso sessuomane e pone una condizione: per raccontare come sono andati realmente tutti i fatti, pretende che gli si concedano due giorni d’amore con un alano (non si formalizza neppure sul sesso). Otto, l’arlecchino di Cantoni, quasi sviene a sentirsi avanzare quella proposta.
Mentre i tre investigatori cercano di risolvere la “questione alano”, le indagini procedono con l’interrogatorio di conoscenti ed ex dipendenti dell’industriale. Tassello dopo tassello viene fuori il quadro abbastanza completo della situazione, ma assai poco edificante. L’unica ad apparire onesta e integerrima è proprio Oxana; gli altri, tutti gli altri, hanno qualcosa di sporco da nascondere. Nel frattempo si addensano cupe ombre fatte di corruzione, truffe, meschinità, invidie e tradimenti. Ma alla fine com’è morto Barani?
Anna, però, è pure madre, moglie, figlia e sorella. Così, giacché la vita non è fatta solo di indagini, lei, ansimante, deve cercare di districarsi tra i mille insidiosi rivoli in cui si ramifica l’esistenza quotidiana: faccende giornaliere, dissidi con il coniuge, brutte notizie sul fronte sanitario paterno, cura del bimbo e assistenza alla sorella nuovamente perdutamente innamorata. E, ogni tanto, una ramanzina psicologica da parte dell’animale di turno aggiunge un “carico” alla situazione già di per sé complicata e la fa deragliare in una depressione profonda.
Sarah Savioli ha l’abilità di saper coniugare l’indiscutibile stravaganza (e fantasiosa leggerezza) dell’idea di base, quella dei dialoghi uomo-animale, con la quotidianità, fatta di pensieri spiccioli, di paranoie terra-terra, di corvée ordinarie, della non sempre facile gestone dei rapporti umani, anche con le persone che ci stanno più a cuore, ma che, talvolta, sembrano pianificare un assalto coordinato alle nostre fragili stabilità. In mezzo a tutto ciò, quasi a tradimento, ci offre l’opportunità di pensieri profondi, riflessioni sui grandi temi dell’esistenza di noi bipedi, che ci stimiamo come i più intelligenti tra i viventi, ma non sempre ci comportiamo da esseri realmente raziocinanti.
Il cocktail che ne esce è godibilissimo. Così siamo spinti a divorare con gli occhi le pagine del romanzo, tra indagini poliziesche su una vicenda tragicamente normale, risate causate dai colloqui surreali con pipistrelli strafatti di insetticidi o tartarughe ipocondriache, riflessioni su questioni importanti e serie, quell’attimo di commozione ed empatia, suscitato dalle vicende familiari che, forse, vanno pure a stuzzicare ferite del nostro passato,.
Lo stile è sempre fresco e frizzante; adorabili sono i frequentissimi, strampalati neologismi con cui è infarcita la prosa; belle le descrizioni di una normalità che è familiare a ciascuno di noi, ma che, attraverso gli occhi di Anna ci appare nuova e tutta da riscoprire; forse un po’ troppo umanizzate e clownesche alcune battute delle controparti non-umane, ma se è un difetto è sicuramente perdonabile e veniale, soprattutto perché consente di osservarci da fuori, cambiando la nostra usuale prospettiva così da consentirci di giudicare il nostro mondo con una mentalità diversa e, forse, più obiettiva.
Insomma, quando si giunge alle ultime battute del testo c’è il rimpianto di dover abbandonare una lettura che dona momenti di assoluta spensieratezza pur cercando di ammonirci con saggi insegnamenti.
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Per l’angolo del pignolo mi permetto solo di fare una tiratina d’orecchi all’editor e al correttore di bozze: i troppi refusi in cui ci si imbatte mortificano la lettura che non merita alcun intoppo.