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La finale
 
La finale 2021-08-21 10:33:32 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    21 Agosto, 2021
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Notti magiche, inseguendo un gol

Da poco abbiamo terminato tutti insieme noi italiani, ritrovatici festeggianti con entusiasmo, stringendo in pugno i tricolori per le strade, e finalmente direi, per la prima volta post pandemia, possiamo permetterci di gioire in compagnia per la vittoria in finale della nostra Nazionale di calcio, in occasione degli ultimi campionati europei.
Come d’uso in tali circostanze, i media hanno rievocato con articoli, foto, video d’epoca analoghe trionfi in cui gli italiani sono scesi festanti in piazza per cause pallonare, elencando i maggiori allori calcistici conquistati in precedenza.
Spiccano tra l’altro quattro titoli mondiali: uno di essi, quelli organizzati in Francia nel 1938, rappresentano la location e l’evento che costituiscono la cornice in cui è ambientato il romanzo di Leonardi Gori “La finale”.
Proprio la finale del campionato del mondo di calcio del 1938 disputata a Parigi, che vide la nostra nazionale trionfare, bissando il titolo conquistato quattro anni prima in Italia.
C’è da dire però che non tutti i tifosi italiani di allora ne furono lieti, voci di dissenso, qualche disappunto e qualche mugugno si levarono apertamente, malgrado nel cuore di ognuno ci fosse, ben celata, un’evidente letizia e soddisfazione per la vittoria della nostra squadra.
Dopo tutto il tifo crea una dipendenza formidabile, ma una certa contrarietà aleggiava comunque in molti, esclusivamente per motivi politici, certo non legati alla contesa sportiva in sé.
Per le strade, infatti, non echeggiavano le note dell’inno di Mameli, o un qualche analogo d’epoca di “notti magiche, inseguendo un gol”, bensì le canzoni schiettamente di parte quali “Giovinezza” e “Faccetta nera”, ritornelli e slogan pressoché obbligati in pubblico, sono quelli gli anni bui del consolidarsi inarrestabile del fascismo in Italia e del nazismo in Germania, con le tragiche evenienze future che ne conseguiranno.
Dei drammi futuri a venire se ne era avuta un’ampia e cruenta avvisaglia, i futuri scenari antidemocratici e dittatoriali in via di completa e pericolosa affermazione esternavano la loro natura già dai fatti della guerra intestina nella vicina Spagna.
Dove da poco infuriavano sanguinosi gli scontri tra i falangisti di Franco, apertamente appoggiati senza economia di risorse di ogni genere dalle potenze assolutiste, a loro volta vanamente contrastati dai meno riforniti ed equipaggiati, anche meno concordi tra loro e male coordinati, dissidenti del Fronte di Opposizione Popolare, in cui soccorso erano pervenuti i comunisti filosovietici e i volontari della libertà, raccolti nelle Brigate internazionali.
Perciò agli italiani fuoriusciti in Francia perché dissidenti, riparati in esilio oltrefrontiera giusto per sfuggire ai rigori ed alle condanne del regime, ma in generale a tutti i francesi e a quanti avevano a cuore le libertà democratiche, non era completamente gradita l’affermazione dei calciatori definiti “i ragazzi di Mussolini”.
Malgrado si trattasse di bravi ed affermati campioni come Meazza e Piola, già il particolare, per portare un esempio, che entravano in campo in camicia nera, schierati a centrocampo, esibendo al pubblico dei tifosi il braccio levato in alto nel saluto fascista, contribuiva ad accendere certe antipatie, infiammava gli animi di quanti perseguitati dal braccio armato della dittatura, alimentava l’astio dei non allineati.
Platealmente si gufava, si tifava conto malgrado la comune nazionalità, perché i successi calcistici italiani inevitabilmente si traducevano in gratuita propaganda, accresceva il gradimento nel popolo, in definitiva si risolveva tutta in pubblicità e consenso per il regime totalitarista.
Da qui derivavano fischi, proteste, contestazioni tra gli stessi tifosi, disuniti non dal valutare le gesta atletiche in campo, ma dalla scelta di campo politica a favore o contro.
In questa atmosfera così ben riportata in questo libro dal suo autore, un clima particolare, surreale, caotico, certo festante per lo più, ma soprattutto contraddittorio, esultante e dissidente ad un tempo, agisce l’ex ufficiale dei carabinieri, ora funzionario dei Servizi di informazione militare italiana, Bruno Arcieri, protagonista seriale di alcuni tra i più fortunati romanzi dello scrittore fiorentino Leonardo Gori.
Quello che caratterizza l’insieme di questi racconti, che coprono l’arco temporale che va dagli anni Trenta fino ai tardi anni Sessanta, è proprio il personaggio principale.
L’autore, infatti, ha fatto di Bruno Arcieri un testimone del tempo.
Un acuto osservatore, un testimone serio, onesto, imparziale ed attendibile, un teste efficace ed affidabile, che meglio non si potrebbe.
Quasi una telecamera nascosta, che vaglia ogni particolare: dato il suo ruolo, tra l’altro visto in divenire con il progredire della sua carriera professionale, Arcieri gode di una visuale privilegiata che comprende i fatti storici essenziali e concreti degli anni che lo vedono agire, per esempio la visita di Hitler a Firenze prima della guerra, oppure la tragica esplosione della bomba terroristica in piazza Fontana a Milano nel 1970, o appunto lo svolgersi del campionato mondiale di calcio in Francia.
Tutti eventi realmente avvenuti, sui quali Gori incastra abilmente quelli frutto della sua scrittura, vi inserisce racconti ammantati certo di fantasia, ma di verosimile immaginazione.
Sopra ogni altra cosa però, è proprio tramite Arcieri ed il suo ruolo particolare che risaltano sottolineati, direi evidenziati a penna, come non mai gli antefatti, veri o presunti tali, i precedenti, i trascorsi, affascina nei libri di Gori proprio il permetterci di sbirciare dietro le quinte, rivelarci quanto tenuto nascosto e ignoto ai più.
Leonardo Gori scrive pertanto non gialli o enigmi polizieschi di per sé, espone il comportamento di una comune, brava persona, un uomo retto e di valori, di fronte ed eventi storici che hanno caratterizzato la sua esistenza.
L’ autore fiorentino ha uno stile di scrittura oserei dire grafica, fumettistica, sembra esprimersi con immagini scritte, racconta in maniera molto descrittiva.
A comprova di quanto appena detto in questo libro, indugia incredibilmente su vie, strade e posti di Parigi non come una guida turistica, ma meglio e più di un nativo del posto.
Vale a dire che ha compenetrati gli ambienti, conosce i luoghi, maneggia a suo agio i fatti reali di cui narra, poi su questa base minuziosamente documentata riporta le gesta del suo protagonista.
Per suo tramite ci immerge nelle atmosfere, nel clima, negli ambienti e nelle sensazioni del tempo narrato. In sintesi, ci parla di come eravamo, cosa è successo, come e cosa siamo diventati.
Il tutto mai di parte. Bruno Arcieri infatti è, sostanzialmente, un uomo equilibrato.
Fa parte delle istituzioni, ma non è un aderente al regime, meno che mai un simpatizzante del fascismo. Non tradisce il suo Paese, esegue gli ordini, obbedisce ai superiori, però non esita a continuare a pensare con la sua testa, con assoluto buon senso:
“…Quando ascoltava i discorsi del Duce, alla radio, provava solo una sottile inquietudine, un disagio che era soprattutto una forma di rifiuto estetico, epidermico...”
Per questo va controcorrente, segue cuore e passione, ma senza ostentazione, con equilibrio, con basso profilo: ama uno stile musicale inviso al regime autarchico, ma non per questo si esime dal ricercare i dischi proibiti ed ascoltare pezzi di musica jazz.
Non gli piacciono le leggi razziali che considera un abominio, ma tutto questo a prescindere dal fatto che l’amore della sua vita, Elena Contini, è una giovane ebrea.
Ne deriva che è un uomo cocciuto, testardo, spesso incline ad agire di testa sua: ma è anche una persona intelligente, riesce comunque a venire a capo delle vicende ingarbugliate, come quest’ultima, in cui risulta invischiato.
Utilizzando come arma esclusivamente la ragione ed il buon senso, una certa spavalderia ed una correttezza di modi, determinazione, fierezza ed integrità morale, frammista ad un’indole di pura fiorentinità.
Ne “La finale” di Leonardo Gori al protagonista Bruno Arcieri si rappresenta, semmai ce ne fosse stato bisogno, che quel regime, in cui si vede costretto a barcamenarsi, è un percorso agli sgoccioli, che si sta dirigendo ad un brutto finale: e se ne accorge valutando gli uomini al servizio diretto o indiretto del fascismo: bugiardi, traditori, voltagabbana, falsi, sleali, perfidi.
Che basano il loro agire sulla violenza, sul sotterfugio, sulla tortura, sulla repressione, in sintesi esclusivamente sulla paura, certo non su valori condivisi:
“…l’OVRA…l’Opera Volontaria per la Repressione dell’Antifascismo…come avevano fatto a paralizzare l’attività dei fuoriusciti…quelli che non controllavano erano bloccati dalla paura di avere una spia in ogni conoscente, in ogni compagno o amico, perfino nei congiunti…”
Con persone così infide, senza valori, pregi, ideali, Bruno Arcieri, valente ufficiale dei Carabinieri, uomini per definizione di specchiata virtù ed integrità di valori di lealtà, comprende che non si va da nessuna parte.
Niente notti magiche di lì a venire, ma buie, stregate: un triste finale.



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