Dettagli Recensione
Pet therapy
Ogni bravo poliziotto, o investigatore come si deve, per svolgere al meglio le proprie indagini, si avvale spesso di una rete di collaboratori non dichiarati, un campionario di varia umanità, che nell’insieme costituisce la categoria degli informatori.
Sono persone dedite ad un’attività di ascolto clandestino, e di raccolta e cessione di informazioni, utile se non benemerita per i poliziotti a cui sono destinate, che si procurano così senza colpo ferire particolari rivelatori per il loro lavoro.
Risulta però rischiosa per gli addetti, in genere essi stessi dei veri e propri delinquenti abituali, o che vivono ai margini della società. Proprio perché adusi a circolarvi liberamente, si mimetizzano perfettamente nel sottobosco delinquenziale, dopotutto ne sono membri di diritto onorario, quindi in grado di raccogliere senza parere, senza destare normali sospetti o un minimo di diffidenza, una messe di informazioni, pettegolezzi, sottintesi, confidenze varie raccolte quasi senza sforzo, che nell’insieme, una volta riportati al detective interessato, gli forniscono un aiuto non indifferente per il disbrigo dei fatti inerenti alla professione. Va da sé che non sono informazioni gratuite, chi le raccoglie e le riporta a proprio rischio con gran segretezza non lo fa per mestiere dichiarato di spione, lo fa più spesso, se non sempre, per bisogno. Cede informazioni sui fatti delittuosi, e presunti coinvolti negli stessi, in cambio di una vera e propria ricompensa, commisurata all’informazione fornita, talora nemmeno retribuita in denaro, ma in natura. Come dire, uno scambio, un do ut des, io delinquente ti metto sulla strada giusta spifferando un “si dice” raccolto negli ambienti malavitosi, e tu poliziotto chiudi un occhio, fingi di non vedere, mi lasci in pace se mi becchi nei miei traffici, beninteso se certi reati non superano determinati limiti. Fatto sta che chi spia rischia, e rischia di brutto, sulla propria pelle, a qualsiasi livello le spie non piacciono a nessuno, ci si sente ingannati, traditi, feriti nel profondo quando si viene spiati, figuriamoci negli ambienti della malavita dove non si va troppo per il sottile nel punire severamente chi tradisce le regole di omertà tipiche di certe dinamiche.
Ma tant’è, per sopravvivere talora bisogna giocoforza correre qualche rischio.
Quella degli informatori su cui contare è una prassi reale nella pratica poliziesca, e come tale perciò anche usuale nei gialli, nei mystery e nella letteratura del genere.
Perfino datata, basti pensare che già Conan Doyle aveva fornito al suo Sherlock Holmes una rete di “ragazzini di strada”, gli scugnizzi dell’epoca, prezzolati dal detective perché lo tenessero informato di quanto di rilevante avvenisse nei bassifondi londinesi.
Anna Melissari, detective privata, il fortunato personaggio che ha recato notorietà alla scrittrice di origini sarde Sarah Savioli, non fa eccezione alla regola, nell’esercizio delle sue funzioni può contare su una rete di informatori quanto mai vasta, veramente ampia e soprattutto ubiquitaria, mille occhi e mille orecchie che tutto vedono e tutto sentono, che odorano finanche le tracce e gli indizi.
Nessuno sano di mente potrebbe mai credere a chi il fiore all’occhiello in servizio presso la rinomata Agenzia Investigativa Cantoni si rivolga per ottenere informazioni, da chi Anna raccolga indizi e informazioni, chi mette sotto torchio, con gentilezza e cortesia tra l’altro, ma minuziosamente, per capire come si sono svolti effettivamente i fatti delittuosi.
Perché la nostra eroina può contare sempre su informatori di “alta” qualità, immagine non solo metaforica ma indicativa di una visione a livello simil drone di certi suoi alati collaboratori, elementi forse improbabili, ma concreti e reali, affidabili, equi, imparziali, insospettabili e inoppugnabili testimoni chiave delle sue indagini.
“Gli insospettabili” pubblicato per prima, da un paio d’anni, e “Il testimone chiave” in libreria più di recente, sono i due straordinari romanzi che hanno consacrato Sarah Savioli come una delle voci più creative, interessanti, originali e stupendamente gradevoli della narrativa degli ultimi anni.
Romanzi ambientati ai giorni nostri, dove una comunissima donna dei nostri giorni dialoga con semplicità, cortesia e naturalezza con gli animali e, in misura minore, con le piante.
Con chiarezza, umiltà, credulità, con assoluta verosimiglianza, soprattutto con il rispetto che difficilmente, consapevoli o meno, raramente tributiamo agli altri conviventi del nostro habitat.
Ma non è tanto questo che attrae, che avvince, che ti prende, è proprio la scrittura della Savioli che è incantevole, la scrittrice non favoleggia, non allestisce parodie, forse il suo racconto è sottilmente divertente, ma sopra ogni altra cosa, è intelligente.
Una scrittura intelligente, e insieme colta, profonda, accessibile a chiunque, le sue idee sono del tutto nuove, non si riscontrano in altri modelli, la scrittrice ci offre un racconto amabile, accogliente, delizioso, ci sentiamo avvolti e coccolati dalle sue storie, ci sembra di stare in un ambiente idilliaco finanche nel mentre si dilunga su fatti delittuosi, su omicidi e suicidi.
Sarah Savioli sa ben scrivere, e ce lo dimostra facendoci stare molto bene con quello che scrive.
Opera su di noi lettori lo stesso effetto benefico di una comune pet therapy, ci fa stare bene, lieti, in armonia con il vissuto. Ci fa amare i viventi, ci fa sentire amati da loro.
Descrive la Natura, ci fa sentire parte integrante di quella, e di tutti i viventi con cui la conviviamo, non è un caso o una coincidenza che l’autrice vanti studi di scienze naturali.
Attrae il suo stile di scrittura, quasi autobiografico, un modo di narrare a voce sola che sembra di ascoltare una vecchia amica, ma di quelle di lungo corso, datata dall’infanzia, fidatissima e dalla vita usuale ma incasinatissima tra casa, lavoro, famiglia, affetti, amori e parentado malconcio in salute, esattamente come quella di tutti noi, una vera amica che si sfoga a cuore aperto con noi lettori.
Raccontandoci il suo vissuto, dove comune e straordinario si intrecciano in modo verosimile, dove il suo quotidiano è corrente, usuale, e però strepitoso, tanto eclatante quanto esemplificativo del nostro correre ed affannarci, un narrare ad un tempo stesso formidabile, inaudito e impareggiabile.
“…degli altri non sappiamo mai abbastanza, però attacchiamo le nostre etichette comunque.”
La scrittrice rende eccezionale la vita comune, e rende usuale la comunità dei viventi, tutti insieme appassionatamente. Il merito è da ascrivere soprattutto alla creazione del suo personaggio principe, protagonista di ambedue i libri citati. La protagonista, Anna Melissari appunto, è un personaggio riuscitissimo, che non ha uguali; è una donna comunissima, direi anche fin troppo normale, senonché si differenzia per una dote non voluta, che almeno all’inizio del suo comparire le ha creato non pochi spaventi, terrori e poi difficoltà di vario genere, innanzitutto ha dovuto farci i conti lei stessa per prima, prima di renderne edotti giocoforza almeno i suoi familiari e le persone a lei più care.
A causa di una piccola neoformazione encefalica, probabilmente lo sviluppo simil tumorale di una pregressa e misconosciuta capacità anatomica innata, ma regreditasi funzionalmente nel corso dell’evoluzione umana, Anna è in grado di parlare, comprendere, comunicare perfettamente con il mondo animale e vegetale. Intendo esattamente quello che ho detto: non possiede poteri paranormali, non ha sviluppato forme particolari di empatia o telepatia per comprendersi con piante e animali, Anna sul serio può dialogare correntemente con cani, gatti, uccellini, tartarughe, pipistrelli e con ficus, fiori, piante d’appartamento, platani dei viali cittadini, alberi, cespugli ed erbacce, come noi facciamo comunemente con i nostri simili. Certo non un talento da sbandierare, però, a rischio di farsi rinchiudere. Va da sé che è qualcosa di unico, e proprio per questo spaventa prima, e preoccupa dopo, è una dote che finanche la psicologa da cui è seguita Anna ritiene essere come minimo una fisima della psiche sua, per non dire una vera patologia mentale, figuriamoci quindi la fatica, lo scetticismo e infine un che di diffidenza di fondo con cui è accettato con molta difficoltà, da chiunque altro, lettori compresi, questo suo non voluto superpotere. Non la rende un’eroina, Anna non lo è né vuole esserlo, la Savioli non ha scritto di un superpotere che facilita una investigatrice nelle indagini, sarebbe davvero sciocco e banale solo pensarlo, perché in casi come questi gli svantaggi superano i possibili benefici, è inevitabile quando si tratta di qualcosa che non è solo raro, assai peggio, è unico e inspiegabile, a maggior ragione foriero di diffidenza. Finanche Superman si porta dietro un che di irrisolto, deve nascondersi dietro i panni di un borghesuccio, e tanto felice la sua esistenza non è.
A salvare Anna, invece, a restituirle la sua umanità malgrado la sua capacità, è la comunicazione stessa, è l’eccellenza di poter comunicare con diversi parimenti viventi. Come spesso accade, sono proprio i puri di cuore, e cioè le piante e gli animali con cui interagisce, sono per prima loro stessi, anziché la razza umana eletta, evoluta e superiore a preoccuparsi di meno della comparsa di questo fenomeno, anzi appaiono ben lieti di comunicare chiaramente, e direttamente, per una volta almeno! con un essere umano. Sono ragionevoli, accoglienti, schietti, dicono le cose come stanno, e per questo rasserenano, forniscono il loro meglio, la loro insuperabile panacea inclusa in qualsiasi pet and plants therapy. Così come accolgono perfettamente il fenomeno nella norma, nell’ordine naturale delle cose, le persone a lei più legate, il proprio bambino Luca, che ritiene del tutto lecito, normale, naturale, la capacità materna di dialogare ad esempio con Banzai, il gatto di casa, o con l’alano in servizio permanente effettivo presso l’agenzia investigativa. Così come il marito, così come i fedeli colleghi di investigazione: accettano Anna così com’è esclusivamente le persone che tengono a lei perché è esattamente così, poteri particolari o meno. Così come deve essere l’amore, senza condizioni, piante e animali lo insegnano.
“…provo ad imparare l’arte difficile dell’aspettare chi si ama…”.
Quanto Sarah Savioli racconta con semplicità, eleganza e incisività di pensiero, è estremamente semplice: l’autrice non ha rivisitato le favole di Esopo, i suoi non sono animali parlanti che esplicano un comportamento ideale, affatto, sono animali, e piante, con cui si parla, si dialoga, ci si confronta alla pari, ci si scambiano punti di vista differenti sugli stessi fenomeni.
Una bella idea: in questo modo l’autrice ci offre angolazioni diverse con cui valutare comportamenti dai duplici significati, impedisce che il solo pensiero personale diventi l’unico considerevole, e come tale facilmente fallace mancando di contraddittorio, come dovrebbe essere. Meno che mai gli animali nei libri della Savioli sono antropomorfi come nei film disneyani. Sono fauna e flora esattamente come sono in Natura, indifferenti e semmai diffidenti nei confronti della razza eletta.
Eletta da altri, ma non da loro, piante e animali considerano piuttosto la razza umana la più dannosa e fastidiosa, incoerente, illogica, e pericolosa del pianeta. Ma tant’è, la accettano con pazienza, tolleranza, umiltà e intelligenza, sanno che con questa bisogna pur convivere, anche se gli umani non hanno un’indole cattiva ma cattivi possono divenirlo con troppa facilità, e il male si diffonde purtroppo con altrettanta facilità, gli uomini riescono finanche ad influenzare negativamente gli animali più fragili. Tant’è che per esempio Carl, un cane carlino testimone oculare di un presunto delitto, si rivela un bieco ricattatore, restio a confessare a quanto ha assistito se non dietro pagamento di un laido compenso. Ma appunto, questo accade a pochi animali perché sono gli umani ad essere deleteri, non il contrario. Gli altri esseri viventi, e non solo pet, utilizzano un solo metro di valutazione: l’affetto, l’empatia, l’amore. Efficace evidentemente, visto che esiste una terapia ad hoc., la pet therapy. Che può sintetizzarsi in un breve bugiardino: le persone che amano accettano il soggetto del loro amore, sempre e comunque, senza sforzo, esattamente com’è, senza se e senza ma.
“…voi umani pensate all’affetto come se fosse un regalo inaspettato da parte di alcuni, qualcosa invece di preteso e dovuto da parte di altri…ma l’affetto è una cosa complicata nel quale c’entra di più chi lo dà che non chi lo riceve…Io, per esempio, ti voglio molto bene anche se tu non sei niente di straordinario.”
Sarah Savioli non ha creato solo un personaggio particolare, una detective dagli insoliti poteri, tutt’altro; ha creato un modo di raccontare le cose, scevro dalla banalità degli esseri umani, che tendono a rivestire i fatti filtrati dai loro interessi personali. Piante e animali non mentono, perché non appartengono al nostro modo di vedere le cose, hanno logiche diverse, diremmo naturali, e quindi più concrete e consone alla successione degli eventi. La scrittrice non ha scritto perciò un romanzo utopistico, ci ha semplicemente sottolineato in modo incantevole, ci ha porto ancora una volta con eleganza, umiltà, a tratti con commozione, la chiave per testimoniare la nostra convivenza con tutti i viventi: l’intelligenza. L’intelligenza che è alla base della comunicazione di genere, con tutti i generi.
La Natura sa perfettamente quanto bisogno di intelligenza è richiesto per comunicare, per fidarsi per esempio di una badante straniera a cui è stata devoluto un lascito testamentario.
La Natura, gli umani no.