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Un anno vissuto freneticamente
Sarà capitato anche a voi, a noi, a tutti, di avere una musica in testa, un motivetto che ti risuona ripetutamente nelle orecchie e nel cervello, una specie di tarlo musicale che non dà cenni di volersene andare. Quasi sempre si tratta di una marcetta allegra, un ritornello semplice ed accattivante, anche simpatico, in voga al momento e che perciò risuona ovunque di continuo, fischiettato un po' da tutti.
Avere una musica in testa non è solo un modo di dire, è un verso di una canzonetta d’ altri tempi, per l’esattezza “Zum zum zum”, che nel lontano 1969 era la sigla iniziale di una trasmissione musicale di grandissimo successo ai primordi della televisione, “Canzonissima”, uno dei più grandi successi televisivi della RAI, che allora deteneva il monopolio delle trasmissioni televisive.
Si era sul finire del boom economico, quando grazie ad un ritrovato quanto illusorio benessere, la televisione era ormai entrata prepotentemente in pianta stabile nelle case di tutti gli italiani, non era più appannaggio di pochi fortunati privilegiati che, bontà loro, ne concedevano magnanimamente la visione ad amici e parenti non in grado di sostenerne la spesa.
Nello specifico, “Canzonissima” era una vera e propria disfida tra i cantanti che andavano per la maggiore, un concorso tra loro ad eliminazione diretta a suon di canzoni ed esibizioni migliori, fino ad una tradizionale puntata finale la sera dell’epifania.
Si potrebbe affermare tranquillamente, senza tema di smentita, che quasi tutti gli italiani la sera della Befana si trovassero in casa davanti al televisore, in trepidante attesa, perché quella sera tra la sestina dei cantanti finalisti si proclamava il vincitore assoluto, scelto direttamente dal pubblico che, arbitro unico, votava il proprio beniamino da casa.
Tutti erano stimolati sia ad assistere alla trasmissione, sia a partecipare al voto, tramite un sistema di invio di cartoline, abbinato ad un concorso a premi.
Una vera e propria lotteria con un ricco premio in milioni di lire di allora, una grossa somma che poteva cambiare radicalmente vita e destino del fortunato cittadino possessore del biglietto vincente. Quindi non solo gli italiani potevano votare canzone ed interprete preferito, ma se favoriti dalla sorte riuscivano ad accaparrarsi uno dei ricchi premi in denaro in palio.
Va da sé che la trasmissione monopolizzava l’attenzione generale, potevano scoppiare le bombe ma nessuno distoglieva l’attenzione dal tubo catodico.
Questa premessa è un amarcord, perché “L’anno dei misteri” di Marco Vichi è esso stesso un amarcord, un ricordo, un riepilogo di frammenti della nostra storia, dei nostri usi e dei nostri consumi. Visti, filtrati, scrutati e analizzati attraverso una lente di antico e anticato vetro fiorentino, la fiorentinità è un must nei libri di Vichi.
Molti, se non tutti i romanzi dello scrittore fiorentino, soprattutto quelli come questo che hanno a protagonista l’ormai noto commissario di Pubblica Sicurezza in organico presso la Squadra Omicidi della questura di Firenze Franco Bordelli, sono racconti fuori genere: se all’apparenza trattasi di gialli, di enigmi, ed in effetti data la professione di Bordelli su omicidi e cadaveri si finisce sempre per cascarci, tuttavia il delitto è un mezzo, un pretesto, un’occasione per parlare di ben altro.
Marco Vichi più che uno scrittore, e certamente lo è, e bravo pure, scrive con stile fluido, scorrevole, discorsivo ed efficace nei dialoghi e nelle introspezioni, è in particolare un delizioso affabulatore, un cantastorie, un menestrello di quelli che intrattenevano gli artisti, gli ospiti eruditi, colti, geniali, l’intellighenzia dell’epoca alla corte dei Medici.
Lo scrittore inizia parlando di un argomento e ne ingloba poi subito un altro, declama una novella e scivola in una poesia, conduce il discorso, alterna fatti e ricordi, azioni attuali e avvenimenti trascorsi, intrattiene gli ospiti come un empatico anfitrione così come incanta e avvince i lettori.
Non a caso, indagini a parte, le sue pagine grondano di convivialità, di pranzi, di pasti luculliani, di trattorie frequentate sistemandosi direttamente in cucina, di cene con gli amici a casa sua davanti ad un cammino, con immancabile corollario di storie raccontate da ciascuno.
Il raccontare è un obbligo per Vichi, lo è per Franco Bordelli e la sua corte di amici e colleghi, direi che contare una novella è il pass obbligato per far parte della comitiva del commissario.
Per questo i romanzi con Franco Bordelli sono racconti di rievocazione, un nucleo centrale attorno a cui assistiamo a continue rimembranze dei tempi di guerra, di pace, di armistizio; flash d’infanzia, di giochi, di genitori, di studi, di amori passati, di vicende recenti.
Franco Bordelli trasuda di ricordi, rimpianti, malinconie, amore per i suoi simili: è un uomo tosto, duro quando serve, un maledetto toscano e però pregno di toscana umanità, e come tale bischero, arguto, brillante, pungente e sferzante, ma buono, sostanzioso, al sangue come una buona chianina alla brace, onesto e corposo come un buon chianti.
Il 6 gennaio 1969 anche Franco Bordelli, tra poco più di un anno ex commissario e pensionato ai giardinetti, è in attesa di assistere alla finale di Canzonissima, giusto per allenarsi al prossimo destino di senza lavoro. Troppo semplice per il nostro eroe, che in rapida sequenza è chiamato invece ad investigare la sera stessa sull’assassinio a scopo di libidine di una giovane ragazza, mentre si cruccia di poter risolvere prima dell’abbandono dal servizio il mistero di un serial killer, un mostro di Firenze ante litteram, uso ad uccidere prostitute periodicamente senza un filo conduttore logico, giusto per non lasciare conti in sospeso, casi irrisolti nel suo curriculum.
Nonché si ritroverà pure a prestare soccorso ad un vecchio amico invischiatosi in una oscura vicenda con i poteri forti. Insomma, i casi per Franco Bordelli non sono mai uno solo, ma come gli amici che conta sono diversi, e ognuno a sé stante.
Volete che manchi un intermezzo amoroso? Affatto, abbiamo narrato qui anche il decorso della sua love story con la giovane e bella Eleonora. Possibile che un bravo scrittore e un amico fedele come Vichi non renda anche omaggio ai libri ed ai colleghi scrittori?
Ecco qui citati uno dei suoi autori preferiti, Alba de Cespedes e la sua bibliografia, e lo scrittore anche lui fiorentino Leonardo Gori: il personaggio nato dalla penna di Gori, e cioè l’ex ufficiale dei carabinieri, e poi agente dei servizi Bruno Arcieri è oramai uno dei migliori amici di Franco Bordelli.
Perciò questo libro descrive un anno vissuto freneticamente dal nostro, giusto un gran finale prima della pensione, troviamo qui omicidi, serial killer, misteri risolti da un appassionato della settimana enigmistica, vendette e giustizieri improponibili e concreti ad un tempo, ma soprattutto si raccontano qui amori, affetti, amici, emozioni.
Questo è un libro caldo perché frenetico, un racconto con mille sapori come un saggio di gastronomia, un elenco di sentimenti e sensazioni variegate, esuberanti ed avvincenti, un allegro bailamme, una escursione tra le colline delle province toscane, e tutto l’insieme formano una squisita ribollita.
Una gustosa leccornia fiorentina, un piatto per gourmet, Marco Vichi è uno chef d’alta scuola.
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