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La nobiltà non sta nel blasone, ma nell’animo
Seconda indagine dell’affascinante e intuitivo ispettore Gianni Scapece e della sua improbabile banda di investigatori.
Assieme al Commissario Improta, Scapece è stato invitato a una festa vip, cosa che lui odia. Ma il ricevimento dato dalla baronessa Elena de Flavis nella sua villa di Roccaromana a Posillipo, per il novantesimo compleanno, si rivela piacevolissimo: la padrona di casa è uno splendido anfitrione e Naomi, la nipote, è incantevole e dotata di un fascino esotico che non lascia indifferente Scapece.
Purtroppo a metà della serata molti ospiti svengono improvvisamente. Durante il trambusto che ne segue la baronessa e il suo maggiordomo cingalese, Kiribaba, scompaiono. Uno dei vini serviti agli ospiti si rivela essere pesantemente drogato. Alcuni testimoni esterni alla villa hanno visto un gruppetto di persone allontanarsi con fare sospetto dall’edificio. Si è trattato di complicato piano per rapire la ricchissima nobildonna?
La polizia inizia le indagini per scoprire le sorti degli scomparsi. Tuttavia le ricerche si rivelano assai ardue anche per la scarsa collaborazione dei tre figli della donna, individui spregevoli, attaccati solo al denaro e alle mollezze che con esso si possono concedere. Dopo tre giorni, nelle acque antistanti la villa, è ritrovato il cadavere maciullato di una donna anziana, riconosciuta subito da Simone, il minore dei figli della de Flavis, come quello della madre. È stato un suicidio? Oppure il sequestro è finito male e i rapitori hanno deciso di sbarazzarsi così del corpo? I figli si incolpano vicendevolmente del matricidio e tutti e tre premono solo per l’apertura del testamento e per mettere le mani sul cospicuo patrimonio lasciato dalla madre o, per lo meno, su ciò che è rimasto dopo i numerosi atti di liberalità della baronessa benefattrice.
Per fortuna ad alleviare le giornate dell’ispettore Scapece c’è la famiglia Vitiello, i divertentissimi e estrosi proprietari della trattoria Parthenope che un po’ consigliando, un po’ ammannendo prelibatezze culinarie e, talvolta, assistendo pure alle indagini, aiuteranno in modo concreto alla soluzione del caso anche quando le continue sorprese che si accumuleranno via via, rischieranno di mandare tutto all’aria.
La scrittura di Imperatore è sempre piacevolissima e il meccanismo utilizzato funziona perfettamente: riunire, in un ben equilibrato cocktail, allegria in puro stile partenopeo, amore descrittivo per la città e meditate considerazioni sui sentimenti, sulla natura umana, aiuta a non annoiare mai e a tener vivo l’interesse del lettore.
In questo romanzo le pagine di pura ilarità e divertimento sono parecchie e non ci si può esimere dallo scoppiare in liberatorie risate alla lettura di certi passi. Ma, come al solito, l’A. ci fa pure da apprezzato cicerone mostrandoci i posti più belli di Napoli a cominciare dal luogo stesso in cui accade il misfatto che dà origine alla vicenda poliziesca. Non mancano le notazioni storiche, ma, soprattutto, sono intense e ponderate le pagine in cui siamo invitati a riflettere e meditare sulla natura umana.
Insomma si tratta di un ottimo romanzo dove le pagine leggere e scanzonate si mescolano a quelle serie. Probabilmente la parte più carente della storia è la pura e semplice vicenda gialla, l’enigma poliziesco che viene offerto: confesso che mi aspettavo quella fine già dopo aver letto i primi capitoli. L’A. si è impegnato parecchio per nascondere le tracce che conducono alla soluzione, ma forse lo ha fatto con troppo impegno, rischiando così di attirare l’attenzione del lettore proprio sull’unica soluzione che si vorrebbe far ignorare sin da subito.
Tuttavia questa è una pecca da nulla, perché vale la pena di leggere Imperatore per ciò che dice e per ciò che ci invita a pensare. Come spiega l’A. stesso nella sua postfazione, lo spunto per scrivere la storia era l’intenzione di farne una metafora della vita sociale contemporanea e di rispondere ad una domanda cruciale: “quale sarà la nostra eredita quando la nostra parabola sarà conclusa? Cosa sarà giusto lasciare a che viene dopo di noi?” E questo intento, con i relativi ammonimenti, è stato pienamente conseguito.