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Investigando il marcio viene a galla
E’ uno strano giallo che si legge piacevolmente, anche se richiede molta attenzione e buona memoria, data la complessità della vicenda. L’ambiente è quello della periferia di Padova, una periferia popolata da malavitosi, spacciatori, trafficanti di vario genere: tra questi, ecco l’io narrante, Marco Buratti, ex detenuto per colpe non sue, per tutti l’alligatore. Naviga abile e silenzioso, ascolta, memorizza, occupato a fornire notizie riservate a studi legali ed a svolgere per gli stessi indagini di ogni tipo. Tutto origina dalla scomparsa, in libertà vigilata, di un detenuto, Alberto Magagnin, accusato dell’ omicidio di una donna probabilmente non commesso. Il suo avvocato lo cerca, incaricando il Buratti di svolgere indagini per tentare di rintracciarlo. Ed ecco il fattaccio: una giudice dalla vita privata non irreprensibile, Piera Belli, viene assassinata durante un festino sadomaso , partecipanti proprio il Magagnin ed un tizio mascherato. Buratti si attiva, indaga con l’aiuto di un amico fidato, Beniamino Rossini, vecchia malavita milanese e rapinatore di professione, scoprendo pian piano sempre nuove relazioni e fatti che mettono addirittura in pericolo la sua vita. Il Magagnin muore per overdose, è considerato l’autore del delitto (che non ha commesso), la vicenda giudiziaria sembra conclusa ma i due soci non si arrendono, continuando le loro indagini private con l’intento di rendere giustizia al malcapitato accusato ingiustamente. Particolare macabro: i due, per non rendere pubblica la morte dello scomparso, ne congelano il cadavere in un frigo, riservandone il ritrovamento alla fine. Allora, chi ha fatto fuori la giudice sporcacciona e quell’altra donna per il cui assassinio era finito in galera Magagnin? Per la giustizia può essere solo il Magagnin, per i nostri due investigatori naturalmente no. Ed ecco che, indagando, emergono personaggi insospettabili: un medico legale famoso, un avvocato maneggione della Padova intrallazzona, ambedue soci dei Cavalieri dell’Ordine di Santa Costanza, un’associazione che raccoglie tutto il marcio di Padova, con affiliati nel mondo politico, finanziario, giudiziario e militare. Ma non basta: ci sono di mezzo anche i rampolli delle altolocate famiglie, emergono rivalità e vendette, confessioni estorte sotto minaccia e registrate. I veri colpevoli tentano di eliminare Buratti e socio, ma i camorristi incaricati della bisogna finiscono male, due metri sotto terra. Riappare, riesumato, il cadavere di Magagnin, con tanto di cassetta con registrazioni compromettenti in pugno. Per i delinquenti altolocati è finita, Magagnin è riabilitato, sia pure post mortem.
Che dire? Il romanzo non ha pause, ti prende comunque, anche se traspaiono qua e là incongruenze e situazioni apparentemente inverosimili. La tensione c’è, anche se allentata da troppo lunghe relazioni mediche e giudiziarie. Lo stile è stringato, essenziale. Il fatto poi che il libro non sia suddiviso in capitoli ma in pochi lunghi blocchi rende la lettura un po’ faticosa. Stona, nel contesto de romanzo e in contrasto con il comportamento dei due investigatori, l’uccisione a freddo dei malavitosi incaricati di farli fuori: il lettore non si aspetta di immaginarli in veste di assassini (forse giustizieri?).
Comunque, accanto alla comune malavita dei poveri cristi, costretti a sbarcare il lunario con traffici più o meno leciti, il giallo squaderna anche un’altra malavita, ben più potente, forse meno evidente ma più sicura della propria impunità, quella dei colletti bianchi, che infiltra i livelli più alti della cosiddetta società civile con un elevato potere corruttivo. E questo il libro di Carlotto lo dimostra benissimo.