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Un vuoto da colmare, una colpa che pulsa
«Oggi ho bisogno di andare a fare rifornimento di oggetti. Gli oggetti conferiscono l’idea più solida di immortalità che ci sia concessa. Dicono sottilmente: hai ancora così tanto da vivere che ti conviene fare più spesa che puoi perché domani non ti debba mancare niente. E ti convincono che quel domani esisterà sempre.»
La perdita subita da Bianca non ha contorni e non ha certezze. È un dolore atavico che si perpetra nel tempo e si porta avanti senza sosta e senza confini negli anni che passano e nei giorni che si susseguono. È ancora bambina quando ella perde la sorella amata Stella, una bambina che ammira quel modello di giovane donna che ha davanti e che non riesce a convivere con un senso di colpa e con tutto quello che si scatena dopo la sua prematura dipartita. Non ha gli strumenti, Bianca. Non ha i mezzi per affrontare il rovinare di una famiglia, il suo disintegrarsi, quell’effetto a catena che comporta il dover andare avanti quando avanti è impossibile andare, quando andare avanti è impossibile da concepire. Adesso Bianca è una donna adulta, legata al suo compagno da molti lustri e con un piano ben preciso da attuare per colmare quel vuoto che si è creato, un piano che va oltre ogni ragione e che deve essere raggiunto a prescindere da tutto e da tutti. Ma è possibile ciò? Può davvero la donna realizzare quello che è il suo obiettivo quando per realizzarlo deve andare contro la natura e mettere in discussione la sua stessa vita? Può così estirpare quella che crede essere la sua colpa? Può così colmare quell’amore che manca e che chiede di essere riempito?
«Quarta tecnica di persuasione, la più importante. La reciprocità. Quando diamo qualcosa a qualcuno quel qualcuno si sente in dovere di ricambiare. Il senso di colpa è il motore più potente di qualunque azione umana, e non c’è bisogno di frequentare i corsi di comunicazione per saperlo.»
È da questi brevi assunti che ha inizio “Il valore affettivo”, opera a firma di Nicoletta Verna, vincitrice della menzione speciale della Giuria al Premio Calvino edizione 2020. È un titolo che nel suo essere porta l’attenzione del lettore a focalizzarsi sul senso del bisogno, su quel tassello mancante dato dalla perdita generata da una scomparsa prematura, al desiderio, ancora, di colmarlo quel vuoto e quel bisogno incessante che pulsa e batte e pullula e chiede di essere saziato. Il lettore è condotto per mano in quelle che sono le scelte della protagonista e anche in quello che è il suo percorso di tentata redenzione da una colpa che sente gravare sulle sue spalle. È condotto e trattenuto anche quando sente che quelle scelte non sono condivisibili. Ed è questo scuotere l’anima, questa necessità di interrogarsi e interrogare, questo bisogno di capire che invita il conoscitore a porsi domande e a cercare risposte.
L’opera, dunque, raggiunge il suo obiettivo dal punto di vista del messaggio e da quello del contenuto ma pecca, in parte, dal carattere stilistico. Per quanto precisa e minuziosa, curata ed erudita, la penna della Verna affascina ma al tempo stesso respinge. Il senso, durante la lettura, è quello di non arrivare mai. Per quanto sia intuibile cioè lo scopo, la necessità di catarsi, chi legge non riesce a fare a meno di chiedersi quando si arriverà al dunque essendo l’impressione quella di girare su se stessi senza mai davvero riuscire a sviluppare in modo completo il testo. Ciò non va a pregiudicare l’essenza del libro quanto, al contrario, la piacevolezza della lettura che subisce dei rallentamenti, che a tratti diventa farraginosa, che a tratti perde di quell’intensità che al contrario un volume con questo tema per sua natura ha. In conclusione, un buon titolo, un buon inizio ma che lascia qualche perplessità.
«Credevo che la delusione fosse un’onda che ti si infrange addosso e tutto intorno si infrange con lei, mentre non è che una piccola lametta infilata fra le tue convinzioni, che bene o male trova il suo posto e smette quasi subito di fare male. E non sapevo che fossero così facili a crollare, le convinzioni. Non credevo potesse essere così ininfluente, la delusione.»