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Artusi e il delitto in scatola sottovuoto
Pellegrino Artusi, il grande gastronomo, si trova nuovamente coinvolto in un fatto delittuoso. Questa volta si tratta di un classico delitto “da camera chiusa”.
Siamo nell'autunno del 1900, Artusi è ospite per il fine settimana, assieme ad altri personaggi altolocati, nella località di Campoventoso (di nome e di fatto) presso la tenuta del sig. Secondo Gazzolo, industriale conserviero che ha introdotto un nuovo metodo per l’inscatolamento delle carni. Sono in corso lucrose trattative in seno al Consiglio di Amministrazione del debito, l’organismo che dirige gli affari con l’Impero Ottomano, sottoposto a una specie di amministrazione controllata a seguito del suo dissesto economico. A capo della Commissione c’è il Delegato dott. Everardo D’Ancona, integerrimo funzionario ben attento a stroncare ogni tipo di “furbizia” da parte di ognuno dei contraenti, affiancato, per la parte turca, dal diplomatico Reza Kemal Aliyan. Artusi, da buon commerciante di tessuti, cercherebbe di inserirsi in quel ricco mercato, ma, assieme a lui, al castello del Gazzolo, ci sono un ricco assicuratore, il ragionier Bonci (con la figlia Delia in età da marito), il noto banchiere dott. Corrado Viterbo e il prof. Paolo Mantegazza, stimato fisiologo, senatore del Regno e stretto amico dell’Artusi.
Purtroppo le serate conviviali, allietate dai piatti cucinati secondo le classiche ricette del manuale dell’Artusi, vengono funestate da una morte incresciosa. La domenica mattina uno degli ospiti è trovato senza vita nella sua camera. Chiusa a chiave. Si è trattato solo di un disgraziato evento dovuto a cause naturali, oppure nella combriccola si cela un assassino?
Come per il precedente episodio (narrato in “Odore di chiuso”) a dirigere le indagini sarà chiamato l’ispettore Saverio Maria Artistico che inizierà a investigare con una buona dose di scetticismo, ma che, nonostante le prove si accumulino per avvalorare la causa naturale del decesso, diviene sempre più convinto che sia stata la mano dell’uomo a fare la vittima di turno e non una banale bronchite mal curata. Anche in questo caso, però, sarà l’Artusi a fornire l’intuizione corretta per sbrogliare la matassa.
I gialli di Malvaldi sono sempre decisamente piacevoli. L’aspetto che più apprezzo è il modo spigliato e anticonformista con cui utilizza la lingua italiana, sempre nel pieno rispetto di una correttezza formale ineccepibile, ma anche con la malcelata intenzione di far capire che, per lui, scrivere non è una cosa seria. Quindi, il lettore riesce a trarre godimento anche nel modo stesso con cui sono costruite le frasi, dalle similitudini burlesche e improbabili, dall'uso dei termini scanzonato e birichino.
La storia non è particolarmente intricata e, più che a costruire l’enigma investigativo, sembra pensata per mettere in burletta certe situazioni, per prendersi gioco di alcuni personaggi. Comunque ben trovato è il marchingegno poliziesco che riesce a conservare il colpo di scena finale. Non tutti i personaggi sono rifiniti a tutto tondo, ma comunque, sono figure gradevoli che, nell'ambito generale della trama, ben si incastrano ognuna nel proprio ruolo. Poi l’accurata ambientazione storica e il richiamo, astuto e sapiente, al celeberrimo ricettario di cui il protagonista principale è autore, aggiungono interesse alla narrazione.
In definitiva si tratta di un romanzo di puro intrattenimento, ma scritto con garbo ed è sicuramente fonte di spasso.
Consigliabile