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Il valore affettivo
 
Il valore affettivo 2021-05-01 18:28:06 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    01 Mag, 2021
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Tutto l’amore che ti manca

Qual è il più grande degli affetti?
L’amore ovviamente, l’amore quello vero, indimenticabile.
Quello esclusivo, talmente esauriente che non ti permette di comprendere che anche tu sei indimenticabile per la persona che ami.
Indimenticabile.
In inglese, unforgettable.
Questo aggettivo definisce al meglio lo struggente, delicato e toccante romanzo d’esordio di Nicoletta Verna, e per più di un motivo.
Non certamente soltanto perché la celebre canzone omonima, cantata da Nat King Cole, svolge in un certo senso il ruolo di carezzevole colonna sonora della vicenda di cui si narra, come e meglio di una musica di Morricone.
Sopra ogni cosa, perché questo è uno di quei pochi, rari racconti che ti restano veramente dentro, anche tempo dopo la loro lettura, tanto è un libro commovente, delizioso, veemente.
Anche scritto bene, con uno stile colto, articolato, pregiato, con dialoghi e descrizioni raffinate, elaborate, di gran classe.
Una prosa efficiente, interessante, persuasiva, un narrare potente che ti inchioda alla pagina, Nicoletta Verna possiede un suo scrivere davvero incisivo, appropriato, vivo.
Non si dilunga, ma esprime, non lamenta, ma espone, non comunica emozioni, ma le realizza visibilmente davanti agli occhi di chi legge.
Espone i fatti come sono andati, non aggiunge niente, lascia fare tutto al suo personaggio principale, la giovane Bianca, voce narrante e protagonista assoluta, che segue scrupolosamente un proprio piano realizzativo dei suoi scopi affettivi.
Senza mai recedere né farsi distogliere dai suoi propositi.
Poi è la sensibilità di chi la segue che fa il resto, il lettore seguendola innalza spontaneamente da sé una struttura interiore di sensazioni, sentimenti ed emozioni che gli rende gradito, deliziosamente ben accetto, empatico e condiviso, l’input artistico di Nicoletta Verna.
La quale autrice però assiste in disparte, discretamente, quasi nascosta, pare apparire a forza da un angolo con timidezza, per non dire ritrosia.
Il valore del libro sta proprio in questo, la scrittrice porge il tomo, e si ritira, l’emozione la crea la storia, è lei, unicamente la narrazione, come è stata confezionata e offerta, che ha valore in sé.
Un valore enorme che è quello del valore delle scelte, il valore che diamo a tutte le svolte della nostra esistenza, prime tra tutti le scelte affettive, il valore affettivo quindi che conferiamo a cose, persone, fatti. Potrebbe esserci un esordio migliore?
Una buona storia, scritta bene, che suscita belle emozioni, che altro chiedere alla sua giovane e promettente autrice?
Intendiamoci subito, qui non ci sono storie patetiche o strappalacrime, volte a suscitare volutamente, ad arte, pianti e commozione, a captare la benevolenza del lettore un po' ingenuo ma di buon cuore, questa è sì una storia d’amore, di amore sublime, anzi un racconto di più amori, chiari e confusi, diluiti nel tempo, ma nessuna love story melensa, zuccherosa e romanticheggiante.
Tutt’altro; è una storia di fatti di vita con i piedi per terra, deliberata ed energica, talora rigida e inclemente proprio perché schietta e reale, il lieto fine appartiene più spesso alle favole, non alla vita concreta. Però è una storia, per quanto insolita, a tratti decisamente dolorosa, che resta comunque un racconto pregnante di affetto e affezione, di adorazione e venerazione, di legami e di amicizia, di attenzione e cura.
Certamente vibrante di amore, quello vero, profondo e radicato che quasi mai è quello di coppia. Narra soprattutto del legame di sangue cementato dal massimo di dedizione e solidarietà, dalla piena e totale compartecipazione, quello che talora può instaurarsi solo e soltanto tra due sorelle, un affetto oltre ogni limite, appassionato e appassionante, avvincente.
Con strascichi che permeano altre storie d’amore, che da quello originano.
Rifulge qui la sorella maggiore di Bianca, Stella, che per davvero, Nomen omen, è un astro di luce propria di nome e di fatto, e di luce buona, vivida e benefica, rappresenta una autentica fonte di vita, una sorgente iniziale, fresca, giovane, cristallina, costituendosi man mano in un fiume vitale.
Il fiume della vita incontrerà però sbalzi improvvisi, devierà tumultuosamente, trascinerà implacabilmente qualcuno di quelli immersi nelle sue acque alle rapide, sballottandolo sulle rocce taglienti. Altri resteranno impantanati in una ansa paludosa, quella più abile nel nuoto, e maggiormente coinvolta in prima persona, finirà invece per imbracarsi nelle alghe vischiose del fondo, brulicante di rifiuti, quelli soliti abbandonati abusivamente alla corrente, senza scrupoli, ad inquinare le acque, i suoli, gli ambienti.
Bianca racconta Stella, di come è cresciuta nella sua luce, elenca un continuum affettivo che scorre, un patrimonio di affetti da salvare, salvaguardare, perpetuare in qualche modo, con un piano preciso.
La storia lascia sorpresi, scossi emotivamente, ma in positivo, suscita immediata empatia, senza condizioni, per la diretta protagonista, descritta mirabilmente nella sua pena, innocenza ed elevata bontà d’animo, al punto che al lettore, girata l’ultima pagina, viene quasi spontaneo volersi immaginare la giovane Bianca in carne e ossa davanti ai propri occhi, abbracciarla con tenerezza e amorevolezza infinita, e sussurrarle con infinita dolcezza: ti darò tutto l’amore che ti manca.
Come lo diceva cantando Julio Iglesias, citato per altro nel testo.
Il valore affettivo di questo testo lo si avverte dalla cura evidente, dall’impegno, dalla fatica totale che ha profuso l’autrice in questo suo primo, entusiasmante lavoro, che l’ha coinvolta a corpo morto, a lungo, in full immersion, quasi macinasse in piscina vasche su vasche cimentandosi nel più faticoso e leggiadro degli stili di nuoto, quello a delfino, lo stile più tecnico e dispendioso di energie, ma anche il più spettacolare, dove niente è lasciato al caso. Lo stesso stile di nuoto che nel libro adotta la sua protagonista Bianca, perché l’autrice, e la sua creatura, coincidono nella precisione, pignoleria e diligenza con cui una segue il proprio piano narrante, l’altra il proprio piano esistenziale.
Con classe ed eleganza, a delfino:
“Appoggio, trazione, spinta, apertura, respiro. Recupero, virata.”
Questa è una storia, in sintesi, di una perduta felicità.
In Brianza vive una comune famiglia piccolo borghese: papà, mamma, due figlie; Stella, la maggiore, una ragazzina di quattordici anni circa, prossima agli esami di licenza media, e la piccola Bianca, la bimba di casa, ancora alle elementari.
Un’esistenza semplice, tranquilla, normalmente felice, senza fronzoli, scandita da piccoli eventi, cose ordinarie ma deliziose, ed il cuore pulsante, il fulcro di questa famiglia è Stella, quella che definiremmo una figlia esemplare, brava, bella, saggia, allegra, solare, un modello di gioia di vivere:
“Era l’unica della famiglia a manifestare così i suoi sentimenti, ed erano per lo più sentimenti positivi. Per questo lei e la sua felicità ci erano tanto indispensabili”.
Stella è una stella non solo in famiglia, lo è anche per il microcosmo in cui vive, porta luce propria anche nell’esistenza di Liliana, la coetanea costretta sulla sedia a rotelle, in quella di Rodolfo, afflitto da una terribile onicofagia, e in quella di Bianca, naturalmente:
“Stella era la parte migliore delle nostre vite: ora so che non amavamo tanto lei, quanto la sua immagine pura e felice, che ci rassicurava sul fatto di poter essere felici a nostra volta.”
Le tragedie avvengono sempre d’improvviso, un giorno Stella muore in un disgraziato incidente.
La sua morte è una catastrofe, e i disastri sono tali perché sono crudeli e dolorosi, non risparmiano niente e nessuno, né l’innocenza e nemmeno i più fragili, per cui la distruzione dilaga onnivora, distrugge la sanità mentale della madre, che proverà più volte nel tempo a togliersi la vita, provocherà la fuga dal dolore e dalle responsabilità del padre, perseguiterà per sempre Bianca con assurdi sensi di colpa, malgrado la giovane si sforzi di crearsi almeno in apparenza una vita con parvenze di normalità e benessere:
“Visto da lontano, tutto ciò che pertiene alla mia vita sembra incantevole”.
Stella, semplicemente, per tutti quanti la conobbero, ma ovviamente per Bianca in particolare, è indimenticabile. Il pensiero di Stella tormenta Bianca per tutta la sua giovane vita, mai nessuno è stato, è e sarà così indimenticabile per Bianca, niente e nessuno potrà risarcirla di quanto ha perso, qualcosa di inestimabile, un valore affettivo senza prezzo.
Il malessere della giovane si manifesta nel continuo, ossessivo e maniacale stilare liste differenziate di rifiuti, sempre e comunque cataloga i rifiuti per genere e costituzione, si accerta dell’esatta differenziazione e del loro corretto smaltimento.
Questo suo dividere, catalogare, elencare altro non è che una forma di paranoia, chi conserva e fa fatica a smaltire è perché non vuole separarsi dalle cose, meno che mai considerarle irrecuperabili.
Anche il tempo trascorso a suo modo è un rifiuto, un non più d’uso, il che rende impossibile gestire una perdita atroce che la giovane non intende cancellare, semplicemente perché non ha avuto modo e tempo di elaborare il lutto, nessuno l’ha aiutata a farlo, con cura, premura, attenzione, la stessa che le prodigava Stella.
Nessuno riempie le carenze affettive di Bianca, nessuno sostituisce il suo vuoto con un valore affettivo, nessuno interviene ad aiutarla a gestire dolore e sensi di colpa, la giovane neanche si avvede del suo disturbo a proposito dei rifiuti, che ella invece considera diversamente, o con qualche distinguo:
“Amo l’ordine e l’equilibrio. Ma questa non mi sembra una malattia”.
Bianca, per sopravvivere, idea un piano per cercare in qualche modo di “recuperare” la sorella.
Incontra un giovane, brillante e affermato astro nascente della cardiochirurgia, convive con lui more uxorio, con devozione supportandolo nella sua crescita professionale, intanto che pensa al modo migliore con cui proteggersi da quello che le sta crollando addosso, individua quello che ritiene l’unico modo giusto di far fruttare la sua idea nello stesso modo doviziosamente pianificato con cui si cerca di trarre un utile da un patrimonio, solo che stavolta si tratta di un patrimonio umano.
Ma è una pia illusione, le cose non vanno mai come vorremmo, per quanto pianificate, l’imprevisto è sempre in agguato, il passato non torna mai indietro per permetterci di aggiustarlo come vorremmo, e ciò che è indimenticabile, è tale proprio perché è passato:
“Le bambine che abitavano in quella casa sono scomparse, l’hanno abbandonata, e al loro posto c’è il silenzio, c’è quel vuoto che solo i bambini sanno riempire con le loro urla egocentriche e assordanti”.
Morale della storia: i bambini crescono, ma per crescere bene, serve dargli affetto a dismisura, sempre e comunque, senza requie, incessantemente; solo le Barbie restano con gli occhi felici e insensibili ad ogni catastrofe della vita, giocattoli, loro sì, indimenticabili.
Infine, Bianca lo capirà, indimenticabilmente.


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Alda Merini
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Commenti

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Bruno, com'è bello leggere la tua scrittura!
Dall'interessante recensione, emerge un esordio col botto. Gli elogi allo stile dell'autrice sono invitanti ; in fondo è un aspetto importantissimo in un'opera letteraria, anzi essenziale.
Il libro mi pare concorra allo Strega. Ne sentiremo comunque parlare.
Emilio, mi fa veramente piacere che ti piaccia leggermi, ne sono onorato oltre che compiaciuto. Gli elogi all'autrice ci stanno tutti, scrive davvero bene: so che è una cosa che ci si aspetta come il minimo sindacale da chi scrive, ma non è così scontato! Francamente non mi ricordo se concorre per lo Strega, non mi pare; mi sembra di ricordare però che ebbe una speciale menzione al Premio Calvino, concorso altrettanto importante. Un caro saluto!
Grazie, Bruno.
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