Dettagli Recensione
Un male grande quanto una balena bianca
Ermanno D’Amore, protagonista del romanzo d’esordio di Roberto Cimpanelli, è un uomo dall’esistenza posata, serena, bonaria.
Laureato in lettere e filosofia, maturo ma ancora giovane, pare aver già trovato il suo posto definitivo nel mondo, e non è cosa da poco, diciamolo.
Si è costruito una propria nicchia vitale, scandita dai tempi che dedica al suo lavoro, quello di proprietario di una piccola ma caratteristica libreria specializzata in titoli thriller, gialli e noir in via del Pellegrino, a Roma.
Oppure accudendo alla sua barca, ormeggiata in secca a Fiumicino, o ancora interagendo con i sodali del suo microcosmo, la vicina di casa Giulia Maffei, ex insegnante di lettere in pensione, o Francesca Salsa, la trentenne appassionata di cinema che lo aiuta a condurre la libreria.
Appagando infine il suo lato sentimentale, in spirito e in corpo, accompagnandosi con alterna fortuna con piacenti partner, sebbene occasionali, dopotutto è un bel figliolo, di spirito e di corpo.
Il tutto in apparenza: perché Ermanno è, in fin dei conti, Herman, come lui stesso si prende la briga di rimarcare alle partner occasionali con cui si accompagna.
Sua madre infatti era americana, non solo, ma nativa di Nantucket, la cittadina statunitense da cui il famoso scrittore Herman Melville fa partire la baleniera “Pequod” al comando del Capitano Achab alla caccia dell’inafferrabile, temibile e pericolosa balena bianca Moby Dick, nell’omonimo romanzo di fama mondiale.
E se non proprio romanzo di fama mondiale, “Moby Dick, la balena bianca” è almeno un testo di vasta notorietà, anche se qualcuno che ignora titoli e personaggi ancora sopravvive su questa terra, come Ermanno può talora sconsolatamente constatare di persona.
La libreria di Ermanno, non a caso, si chiama perciò “Melville & Co.”; dopotutto, è un doveroso omaggio; le sue origini, con i nonni americani, gli hanno permesso un’esistenza agiata ed un avvenire senza patemi economici.
Dietro Ermanno, però, e oltre Herman, c’è ben altro: c’è un uomo che ha visto da vicino le più sordide miserie umane, quelle della pedofilia, per esempio.
E da quegli orrori è stato annichilito: da anni Ermanno va alla deriva capitanando una personale baleniera, le cui stive non contengono barili di olio di balena, ma contenitori di incubi tremendi. Recipienti che sono veri vasi di Pandora in cui sono racchiusi gli orrori, e gli errori, di cui è costellato il recente passato di Ermanno, e che il giovane tiene ben chiusi per non farsene travolgere, facendosi sostenere allo scopo da una apposita terapia psichiatrica con il criminologo Bruno Fracassi.
Perché Ermanno, prima di essere un libraio, è stato un poliziotto.
Un poliziotto, sebbene con laurea in lettere e filosofia non proprio consona all’impiego, impegnato con il collega Walter Canzio in prima linea contro la piaga della pedofilia e orrori similari.
Un poliziotto bravo, preparato, capace, che univa alle innate capacità investigative anche la logica stringente e riflessiva derivatagli dagli studi insoliti per quel tipo di attività professionale, alquanto prosaico e poco letterario.
Un poliziotto con un valido curriculum di successi professionali, fin quando una tragedia nell’esercizio delle sue funzioni non ne aveva pericolosamente minato l’equilibrio mentale, sopraffatto dal rimorso di aver compiuto magari inavvertitamente gravi errori professionali.
Quello che tormenta l’ex ispettore di polizia Ermanno D’Amore è che si ritrova sulle spalle un grave errore che non ha mai smesso di tormentarlo, che lo ha schiacciato spingendolo a forza a vagare nelle brume nere della disperazione, una tragedia avvenuta tempo prima nella basilica dell’Angelo di Dio. Inducendolo pertanto a cambiare vita, lavoro, abitudini, cercando in tutti i modi di lasciarsi il passato alle spalle.
Quello di Ermanno è stato un autentico viatico, dapprima una discesa nell’inferno della pedofilia, poi negli abissi dei complessi di colpa per propria incuria, e la sua mente non ha retto a quegli orrori sommati tra loro; se ne stacca quindi e cerca faticosamente di rientrare in un porto sicuro.
Senonché, allorché la cronaca cittadina riporta le gesta di un serial killer dalla figura alquanto inquietante, con il volto celato da una pellicola biancastra e che uccide barbaramente le sue vittime fiocinandole con un fucile da sub, ecco che Ermanno viene richiamato in campo dal suo ex collega in polizia Walter Sanzio, con cui faceva coppia fissa quando militava nelle forze dell’ordine.
Sebbene all’inizio riluttante a confrontarsi di nuovo con vicende e persone malefiche e nefaste, Ermanno comprende come esiste un momento nella vita in cui, per quanto veleggi al largo con le vele al vento, non troverai mai un porto sicuro in cui rifugiare te stesso, e nemmeno ripristinare il proprio perduto equilibrio mentale.
Certi eventi, per quanto traumatici, vanno affrontati, devi farci i conti una volta per tutte.
Puoi soccombere all’urto, certo, ma almeno sai contro che cosa vai a sbattere.
Come il capitano Achab, Herman va alla ricerca della propria personale balena bianca, il proprio male, la personificazione del proprio incubo; questa volta Moby Dick ha un cappello, una pellicola a celarne i lineamenti, imbraccia lei una fiocina, ma resta sempre un mostro perfido, violento, malvagio, così appare agli occhi di Herman, come una volta appariva al capitano Achab.
Le scialuppe vanno calate in acqua, ad onta delle tempeste, giunge un momento in cui ciascuno di noi deve misurarsi con il Male, qualsiasi forma esso assume.
Non c’è altra via per ripristinare il Bene che sconfiggere l’incubo.
Questo di Roberto Cimpanelli è un bel libro, fluente e discorsivo, scivola via in prima persona, diretto e subito coinvolgente.
Una bella storia, ben narrata, più che un thriller lo definirei una storia di un percorso, di una rievocazione, di una rinascita. Come per Achab, non è tanto un libro che parla di un viaggio con una meta e con una destinazione finale di scontro, di una vendetta da perseguire contro chi ti ha gravemente offeso in una gamba o peggio, sia esso un capodoglio o il diavolo in persona, ma un testo, un elaborato di rievocazione, di crescita, di consapevolezza di sé da acquisire necessariamente prima del passaggio ad uno step successivo, come in tutte le cose della vita.
Specie le più tremende, non c’è altra via.
Ci presenta persone, sentimenti, emozioni, in sintesi come nel capolavoro di Melville contiene anche qui un Ismaele, un Queequeg, uno Starbuck, uno Stubb, un Flask, la storia non è la ricerca del colpevole o del Male, fine a sé stesso.
Il romanzo è un racconto di crescita dei sentimenti, di elaborazione di errore per sconfiggere gli sbagli. Solo chi non veleggia sui mari dell’esistenza, non sbaglia mai.
Serve affrontare il diavolo, conscio che è pericoloso, perché il maligno come tutto ciò che è nefasto dura a lungo, ha pazienza, sa attendere.
L’unico modo per porre rimedio è affrontare la vita, riappropriarsi del proprio destino, il che significa riprendere il largo, senza ancore, tempeste o bonacce a frenarti.
Tutto si affronta, e forse si supera e forse no.
Non lo saprai mai se non salpi incontro al tuo destino, vele al vento.
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