Dettagli Recensione
Il silenzio che è presenza.
«Ma la felicità può ridursi a un singolo atto insensato e per nulla gratificante, se guardato solo con gli occhi degli altri.»
Un sogno, un sogno che fa tantissima paura. Un sogno in cui Chiara canta e conta, conta e canta ma che eppure non sembra proprio volerla abbandonare. È terrorizzata, la bambina. Così impaurita da chiedere l’aiuto dei genitori che a loro volta si rivolgono a Teresa Battaglia scortata dall’ispettore Massimo Marini e il suo scetticismo. Perché alla fine, sembra volerle dire, si tratta soltanto del sogno di una bambina di quasi nove anni emarginata e sola per quella malattia così rara che la obbliga a vivere soltanto la notte.
Ma Teresa lo sa, lo sente che non è così e che dietro le apparenze vi è altro, che il sogno non è soltanto un sogno, che l’istinto si è risvegliato e chiede di essere appagato. Cerca prima un contatto con Chiara, non è semplice creare quel ponte con un’anima dell’oscurità e della solitudine e dopo averlo trovato non si ferma. Non si ferma perché lei sa che la bambina dice il vero, che qualcosa è successo e deve scoprirlo.
«Riempiva quella stanza – la casa – in un modo che non avrebbe mai potuto comprendere, troppo giovane per aver sperimentato il silenzio in cui lei invece poteva sentire l’eco di ogni gesto, che non includeva mai qualcun altro, quando si chiudeva la porta di casa alle spalle.»
Ha inizio da queste brevi premesse l’ultimo romanzo a firma Ilaria Tuti intitolato “Luce della Notte” e terzo capitolo dedicato alle avventure del commissario che l’ha resa celebre. La lettura è rapida, si esaurisce in nemmeno una giornata. Incuriosisce il lettore e più che sul giallo muove interamente sul sentimento e l’emozione.
Se da un lato il mistero ruota attorno alla scomparsa di un bambino e a un passato radicato tra il 1995 e il 1996, tra guerre, anime alla ricerca di salvezza e disperate vie di fuga diventate forme di schiavitù senza spiraglio per il futuro, dall’altro è l’empatia quel che maggiormente trattiene e avvince. Se da un lato il lettore desidera scoprire dell’arcano, dall’altro è affascinato dal quanto scopre su Teresa e Marini, protagonisti indiscussi e su quel passato altrettanto celato che li riguarda. Un po’ debole e tirato via il finale che richiede ed esaudisce le preghiere di un lieto fine.
Una lettura piacevole, che dimostra una crescita stilistica dell’autrice, che non mancherà di conquistare il cuore dei lettori che già amano il personaggio della Battaglia e che si dimostra essere un perfetto romanzo con il quale staccare qualche ora in modo lieto.
Per chi non lo sapesse i proventi di questo titolo dell’autrice saranno completamente devoluti al centro di riferimento oncologico di Aviano a favore della ricerca sul sarcoma Ewing.
«Elaborare la vecchiaia comporta attraversare un lutto, significa fare i conti con tante perdite, ultima quella della vita. E una delle prime fasi del lutto è la rabbia. Molte persone, piene di questa rabbia, desiderano far soffrire chi sopravvive, rovinare vite. Pensa ai genitori che si rifiutano di riconciliarsi con i figli in punto di morte, o viceversa. […] Si era sentito tradito dalla comunità, forse. Rifiutato, messo da parte come un oggetto vecchio e rotto, ma lui di quella comunità conosceva molti segreti scomodi.»