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Puparo e pupi
Da anni ormai le pagine dedicate al commissario Montalbano lasciavano risuonare in sottofondo le note malinconiche che ha sempre la parola fine. E quante voci si sono rincorse nel frattempo su quel chiacchierato ultimo episodio, che Camilleri avrebbe consegnato nel 2005 nelle mani di Elvira Sellerio, per chiudere la serie che tanta fortuna gli aveva regalato: morirà per violenta sparatina, sposerà l'eterna fidanzata Livia, darà definitivamente le dimissioni?
Ecco, alla parola fine ora siamo purtroppo giunti davvero e, pur non potendo commentare la veridicità di queste ipotesi senza magari svelare troppo, mi è impossibile non dire almeno questo: che immaginare banalità o piattezza per il suo ultimo saluto a Montalbano significa fare un torto alla grandezza di questo straordinario scrittore. Bisogna immaginare uno spettacolo pirotecnico, geniale e colorato.
Come al solito, c'è un'indagine, quella sulla morte di Riccardo Lopresti, il Riccardino che dà il titolo al volume. Non mancano inoltre le intuizioni del commissario e gli interrogatori che valgono come scene di teatro; né la solida comprensione di Fazio e i siparietti comici di Catarella. Ma c'è anche qualcosa in più, a rendere questo romanzo diverso e originale: in omaggio alla tradizione pirandelliana, sulla trama gialla si innesta infatti un discorso metaletterario tra personaggio e autore.
"-Montalbano è
- Cu? Montalbanu? Chiddru di la tilevisioni?
- No, chiddro veru".
Troviamo così un Montalbano vero, che vive la storia e talvolta osserva se stesso agire, sentendosi spettatore di sé. E un Montalbano personaggio, quello dei romanzi, e persino quello della televisione, verso cui provare l'insofferenza e il disagio della vita che si confronta con la finzione. E infine troviamo lui, l'Autore, il puparo che muove i fili e si diverte a giocare con loro e con noi.
"Salvo, la facenna sta completamenti arriversa. Sono io che informo te, e non capisco perché ti ostini a credere che sei tu a informare me. Questa storia di Riccardino io la sto scrivendo mentre tu la stai vivendo, tutto qua”.
Camilleri si diverte a dichiararsi vittima delle intemperanze del personaggio, che impone finali o monologhi interiori insceneggiabili, per fregare tutti gli altri. Sorride fingendosi insofferente alle sue continue imposizioni narrative, che piegano sempre la storia gialla arricchendola di osservazioni sociali, spirito civico, denuncia su politica e mafia. E coglie così l'occasione per dirci davvero cosa ha voluto essere questa serie, per lui e per tutti noi. Ci ha regalato una lingua inventata che piano piano è entrata nel nostro vocabolario. Ci ha raccontato l'Italia che cambiava, le magagne del nostro presente e l'umanità di un personaggio indimenticabile. Sempre con leggerezza e umorismo, senza intellettualismi, in fondo - come ci dice con la consueta ironia: "Io non posso sfoggiare molta cultura, sono considerato uno scrittore di genere. Anzi, di genere di consumo. Tant’è vero che i miei libri si vendono macari nei supermercati".
E allora non rimane che una parola da dire. Grazie, per tutto questo.
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