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Il ragazzo inglese
 
Il ragazzo inglese 2020-08-29 13:48:05 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    29 Agosto, 2020
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Del suo meglio

“Due maestrine fasciste, in divisa bianca e nera, facevano marciare una colonna di piccoli balilla, armati di moschetti di legno. Arcieri, per il suo mestiere, sapeva quali forze si scontravano in Europa: eserciti moderni, aviazione, acciaio e motori, grandi potenze di fuoco.
L’Italia invece era nella condizione di quei bambini ignari, coi fucilini finti”
Queste parole introducono subito i tempi e gli scenari in cui agisce Bruno Arcieri, il protagonista dell’ultimo pregevole romanzo di Leonardo Gori, “Il ragazzo inglese”, quello di più recente arrivo in libreria, in cui ritroviamo il personaggio forse meglio conosciuto dagli affezionati lettori dello scrittore fiorentino.
Sicuramente il più sapientemente caratterizzato: Leonardo Gori fa agire il suo Bruno Arcieri, dapprima nei panni di ufficiale dei Carabinieri ed in seguito funzionario dei servizi segreti italiani, in un arco di tempo che va dall’avvento del ventennio fascista, passando per gli anni dell’ultimo conflitto mondiale, fino al dopoguerra.
Bruno Arcieri è quello che si dice un uomo tutto di un pezzo, ma di un pezzo lavorato bene, con semplicità e abilità artigianale, forgiato per educazione, indole e crescita a comuni, e ben radicati nel profondo dell’animo, valori di lealtà, onestà e coerenza, prima di tutto verso la sua stessa persona.
È lo specchio fedele del galantuomo del suo tempo che, in tutta onestà, compie del suo meglio per adeguarsi ai fatti e agli eventi che si snodano davanti ai suoi occhi, cercando di mantenersi comunque aderente alla sua natura di uomo di comune buon senso, empatico e tollerante, caritatevole ed intransigente insieme, antico e moderno, restio ai cambiamenti eppure aperto alle novità, gentile, capace, retto d’animo e di intenzioni.
Certamente, non è un uomo perfetto, tutt’altro; devia spesso, commette errori, sbaglia, sbanda, si lascia trascinare da istinto, passioni, desideri, talora se ne fa accecare perdendo di vista la logica e la regola, si lascia pure traviare, ma sempre ne prende coscienza, facendo del suo meglio per rimediare, come gli detta la coscienza.
Arcieri non è un eroe, è appunto solo uno che fa del suo meglio, ci prova sempre e comunque a farlo, con tenacia, spesso con cocciutaggine, sempre con pudore, talora in punta di piedi, ma con il coraggio della persona per bene che vuole capire, comprendere, approfondire, senza giudicare a priori.
Il tratto pregevole del personaggio Arcieri è proprio questo suo assistere in prima persona, la sua visione dei fatti storici realmente avvenuti, che Gori descrive abilmente come se si stessero svolgendo esattamente sotto gli occhi del suo eroe, nel momento stesso in cui accadono.
Bruno Arcieri è letteralmente un testimone del suo tempo, e data la sua militanza nelle forze dell’ordine, in un modo o nell’altro, è dalla parte giusta della barricata, il suo occhio clinico rileva in particolare ciò che stona nell’ordine naturale del vivere civile.
Perciò serve lo stato fascista, ma non è un fascista; non ama guerre e guerrafondai, e però è presente a Firenze negli anni prebellici per organizzare al meglio il Servizio d’ordine, in occasione della famosa visita del Fuhrer della Germania nazista nella città del giglio, sventandone al meglio possibili guai e complicazioni, come dovere comanda. Non gli piace Hitler, ma svolge al meglio il suo lavoro.
Vive sulla sua pelle le discriminazioni e i soprusi, le assurdità delle abiette ed esecrabili leggi razziali, poiché Elena, la donna che ama, è ebrea, e quindi soggetta a pericoli e discriminazioni, a sopraffazioni e angherie di ogni genere.
Tale legame, tenero ed intenso, Elena sarà sempre e comunque l’amore della sua vita, in quei tempi è grandemente rischioso, con evidenti ripercussioni sulla carriera e la vita del nostro eroe, ma questo non servirà a distoglierlo dall’amore verso la ragazza.
Arcieri lo ritroveremo in seguito anche a guerra finita, vuoi per i dettami morali della sua coscienza, vuoi per la scomoda conoscenza di fatti e segreti d’archivio, finanche fuggiasco oltreconfine per sfuggire ai raggiri e alle vendette dei poteri loschi, quelli che agiscono dietro le quinte delle istituzioni democratiche, sabotandole e tessendo oscure trame criminose.
Uomini, poteri e istituzioni che evidentemente non tollerano coloro che fanno del loro meglio per costruire una esistenza a misura d’uomo, fatta di buon cibo, ottima musica, cordialità e gentilezza.
Una insolita caratteristica di Bruno Arcieri è che, protagonista unico in tutta una serie di romanzi a lui dedicati da Gori, talora, caso insolito nella scrittura del nostro paese, è anche una “guest star”, ospite dei romanzi del fraterno amico di Gori, anche lui scrittore, e anche lui di Firenze, Marco Vichi.
E viceversa. Le storie di Bruno Arcieri carabiniere, a firma di Leonardo Gori, si intreccino spesso e volentieri, in un amalgama magistrale, con le trame di Franco Bordelli poliziotto, nato dalla penna di Marco Vichi. Nascono allora storie di convivialità, di amicizia, di reciproca stima e supporto, con le atmosfere e i sapori tipici di quando si incontrano dei veri e genuini “maledetti toscani”, tosti, decisi, determinati e intensamente pervasi di schietta umanità. Sia i personaggi, come i loro autori.
In questo romanzo, nel mentre, nei primi anni 60, percorre l’appennino tosco emiliano insieme ad un amico per porre la parola fine ad una vecchia storia protrattasi fino allora, Arcieri ritorna con la memoria ai fatti avvenuti la tarda primavera del 1940 a Firenze.
Poche settimane prima della proclamazione dell’entrata ufficiale in guerra dell’Italia l’8 maggio 1940, Arcieri viene contattato, tramite comuni amicizie, da un ragazzo inglese.
Johnny, questo il suo nome, da tempo residente a Firenze, per sottrarsi all’imminente richiamo alle armi da parte delle autorità militari del suo paese di origine, appressandosi i preparativi di guerra, si offre di trafugare e consegnare alla “spia” italiana, come è ufficiosamente considerato il nostro, importanti documenti segreti.
Incartamenti delicati sulla consistenza e disposizione delle forze armate della Gran Bretagna, custoditi presso il locale consolato inglese, dove il giovane presta servizio.
Johnny pretende in cambio accoglienza, rifugio e ospitalità, nuovi documenti e nuova identità per rifarsi un’esistenza non soltanto lontano dal concreto rischio di perdere la vita in guerra, ma soprattutto per restare al fianco di Leda, la donna che ama perdutamente, una semplice, ma bellissima ragazza del posto. Arcieri segue dapprima i dettami della sua coscienza e della sua drittura morale, e rifiuta sdegnosamente quello che ritiene una vile diserzione per futili e capricciosi motivi, ma è costretto poi ad accettare giocoforza, dati gli ordini dei superiori, che non intendono perdere un simile vantaggio strategico per il conflitto ormai prossimo.
Arcieri a malincuore obbedisce.
Un altro eroe letterario, serio, integerrimo, inflessibile e senza macchia non verrebbe mai meno ai principi etici e cristallini a cui ispira le sue azioni, ma appunto Bruno Arcieri non è un eroe, non è migliore degli altri, neanche sa esserlo, semmai talora è pure più presuntuoso, ma in questo sta la sua forza, proprio per questo non è verosimile ma vero, è un uomo normale, un uomo del suo tempo, che si arrabatta a fare del suo meglio, magari si scopre con stupore più fragile di quanto pensi, e fa i conti serenamente con la sua realtà.
Si snoda così questa vecchia storia, tra omicidi, servizi segreti e presunti tali, funzionari del regime insoliti e contraddittori, vecchie botteghe nei vicoli della Firenze medievale e borgatara, autori dell’ermetismo in voga e poesie tanto ermetiche quanto eclatanti, pizzi, merletti, tè e vecchie signore di stampo vittoriano, soffitte, nascondigli, doppi giochi, misteri, polizia politica e defenestrazioni.
Un insieme, un calderone di eventi, tutti provocati dalla follia imminente a venire, e che tutto avrebbe travolto:
“La sua vita e quelle di tutti erano state travolte da un fiume in piena, la guerra che nessuno era riuscito ad evitare. Il loro vecchio mondo era scomparso in un inferno di fuoco”.
Leonardo Gori, nei suoi romanzi con protagonista Bruno Arcieri, ha descritto sapientemente, e con penna leggera, con tratto incisivo e scorrevole di lettura e di azione, l’epopea di un uomo normale.
Proprio per questo più difficile da scriverne.
Gori non ha fatto del suo meglio scrivendo di Arcieri, ma ha scritto di Arcieri al meglio.
Scrivere romanzi, o fare romanzo di una esistenza, è un conto; ma raccontare una realtà, per quanto varia e intensamente vissuta, riportando con precisione e maestria esperienze, atmosfere, clima, eventi, fatti realmente avvenuti, e tra i più disparati, facendoli interagire in simbiosi con un proprio protagonista di fantasia, significa ammantare di reale anche il protagonista.
Leonardo Gori rende al meglio tale magia, possiede abilità, incanta con le parole, intrattiene il lettore.
Consiglio di iniziare la conoscenza di Arcieri seguendo l’ordine cronologico di uscita delle sue storie; credo sia il modo per apprezzare appieno sia il nostro ufficiale dei carabinieri sia il suo autore, reiterando gradualmente il piacere della conoscenza di ambedue.
Ambedue al loro meglio.

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Leonardo Gori e Marco Vichi
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