Dettagli Recensione
L'uomo delle sculture
«Ci sono persone per cui il passato è una dimensione esistenziale. Anzi, l’unica. Non parlo degli anziani come me che hanno più passato che futuro, che hanno più strada dietro che spalle da percorrere. No, mi riferisco a chi riesce a frequentare una sola realtà: quella del tempo trascorso. Per loro vivere vuol dire essenzialmente aggiornare il proprio passato.»
Enrico Mancini non potrà mai dimenticare la sua Marisa, la donna che da sempre ama, colei che gli è stata strappata via da una forza più grande e di cui sempre si porterà il rimpianto di non essere riuscito a salutare. Tuttavia il tempo è passato inesorabile e implacabile con il suo decorrere rapido, imprevedibile e improcrastinabile e, per quanto il commissario ci provi, non può sottrarsi a quello che sta sempre più diventando un ricordo lontano appartenente a un trascorso sempre più remoto.
Vorrebbe poterlo trattenere, Mancini. Ma non può. E così, per quanto sia restio, per quanto si opponga, è chiamato a vivere, è chiamato a svolgere il suo lavoro di profiler, è chiamato a fermare “Lo scultore”. A pochi mesi di distanza dalla risoluzione del caso dell’uomo soprannominato “L’ombra”, indagine che lo ha visto tornare sul campo dopo il lutto, adesso lui e la sua squadra sono chiamati a far luce su una serie di morti macabre e misteriose che vedono l’artefice delle medesime allestire una sorta di teatrino nei luoghi del ritrovamento: tutte le vittime sono disposte in una pièce specifica così come le loro membra sono caratterizzate da determinati riferimenti; un mix che riporta ai miti, alla letteratura, all’arte ma anche all’animo dell’individuo che sa essere tanto umano quanto capace di trasformarsi in bestia.
«Un rispetto che sfiorava il timore, perché chi perde la testa in un dolore come quello, in un modo o nell’altro smette di avere paura.»
E come riuscire a fermare un omicida che non agisce per vendetta quanto per sconfiggere i propri mostri? E come riuscire ad anticiparne le mosse, come riuscire a fermare quello che sembra essere un disegno mosso da una volontà inarrestabile?
È da questi brevi assunti che ha inizio “La forma del buio” secondo capitolo dedicato alle avventure del celebre commissario nato dalla penna di Mirko Zilahy e caratterizzato non solo da un aspetto thrilleristico che avvince e trattiene ma anche da un aspetto più propriamente introspettivo che si propone al lettore per mezzo di una penna fluida, rapida, magnetica.
Mancini, in particolare, si evolve in questo nuovo elaborato. Acquisisce un nuovo e rinnovato spessore, si mostra al suo pubblico con le sue fragilità ma anche con aspetti che ne delineano una maggiore caratterizzazione psicologica tanto da renderlo ancora più complesso e stratificato. Il lettore, nello scorrere delle pagine, è preda quanto artefice quanto indagatore. Le sue vesti mutano a seconda della scena, assumano voce a seconda dell’io narrante, si dilatano e contraggono innanzi alle molteplici piste seguite. Al tutto si somma un aspetto criminologico perfettamente elaborato e più che soddisfacente tanto per i palati più esperti che non.
“La forma del buio” è un sequel di tutto rispetto che conquista ancor più che del primo elaborato e che non delude le aspettative del lettore più esigente, anzi. È un titolo che suscita empatia trasmutando chi legge in quello che non è soltanto un thriller.
Un autore che entra nella psiche del suo pubblico, che merita di essere letto, che si confà tanto agli amanti del genere che non, un autore che non ti stanchi mai di leggere. Un autore che se non avete ancora avuto modo di scoprire, è giunta l’ora di conoscere.
«Si dice che le persone scomparse restino con noi, che vivano in una dimensione continua alla nostra, invisibili ma presenti. In questo posto inutile io ho avuto la possibilità di scoprire che non è così. La verità è che quando qualcuno se ne va, quando lo perdiamo per sempre, che sia la peggiore delle morti o il più banale degli incidenti a portarcelo via, qui dentro», posò il pugno sullo sterno, «si forma un vuoto. E man mano che andiamo avanti quello spazio sì dilata ed è come se si riempisse. Di fantasmi. Fantasmi che ci abitano. E che ci parlano, commissario, da un passato in cui erano fatti di carne. Ci parlano e le loro parole producono echi che restano in sospensione dentro di noi.»