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Montalbano di fronte ad un bivio.
Il romanzo è del 2004/2005, come spiega Camilleri in una nota finale, e doveva sancire la fine della serie del commissario Montalbano. Si sa poi come è andata, lo scrittore ha continuato a scrivere, a far vivere ed agire il suo amato personaggio, ed ha anche deciso di pubblicare questo “Riccardino” del 2005, ritoccando qua e là, ed aggiornandone la lingua, evoluta notevolmente in questi ultimi anni. Riccardino, impiegato alla Banca Regionale con tanto di laurea in economia e commercio, muore subito (nel primo capitolo!) sparato da un killer in moto, dopo aver telefonato per errore al commissario invitandolo (ma chi era il reale destinatario della telefonata?) ad un incontro con amici. Chi ha ucciso Riccardino, e perché? L’interrogativo del romanzo in sostanza è questo, ma la vera novità è l’intrusione inaspettata dell’Autore che colloquia con il commissario e gli suggerisce come condurre le indagini. A mio modo di vedere, l’originalità del racconto ne esce compromessa: il filo narrativo sconfina nella fantasia, il racconto diventa favola, l’interesse per la trama, pur complessa, viene scemando. Anche perché la trama è complicata, e il povero Riccardino aveva più motivi per essere brutalmente fatto fuori. I percorsi comunque diventano due, dopo i suggerimenti dell’Autore a Montalbano. Camilleri infatti gli suggerisce di puntare di più sull’ipotesi di un delitto passionale: Riccardino infatti è celeberrimo per le sue imprese amorose, e per essere alternativamente o contemporaneamente l’amante delle mogli dei suoi tre amici. Quindi, una storia di corna e relativa vendetta. Ma Montalbano vuole vivere la storia a modo suo seguendo altri percorsi, più difficili da decifrare ma più attuali: una trama che coinvolge Riccardino e i suoi amici e che tocca via via attività illecite e pericolose, dal traffico di droga al furto di gasolio dalla ditta dove lavorano gli amici, da crediti bancari concessi per motivi oscuri ad amicizie con capi della mafia locale. Insomma, un quadro all’italiana, in cui entrano a vario titolo anche i cosiddetti poteri forti: un chiacchieratissimo sottosegretario alla Giustizia, già implicato ed assolto per prescrizione in reati di mafia, e addirittura il mellifluo vescovo di Montelusa che “consiglia” il pavido questore Bonetti-Alderighi di togliere prima e di ridare poi la guida delle indagini al commissario. Insomma un quadro deprimente, ma forse più aderente ai tempi. Naturalmente, fanno sempre la loro brava parte il solito Catarella (ma è un comico o un carabiniere? Qui forse Camilleri calca un po’ troppo sull’aspetto caricaturale), l’altezzoso questore Bonetti-Alderighi, il bravo Fazio ed il pubblico ministero Tommaseo (anche qui si calca troppo sull’erotomania del soggetto). La fedele Adelina stranamente non compare mai, solo una volta viene citata. Anche Livia, la pazientissima eterna fidanzata di Montalbano, non compare ma telefona, sognando viaggi in terre lontane, addirittura in Sudafrica o in Brasile, immaginate voi quanto graditi all’abitudinario e stanziale commissario ! Viaggi comunque non realizzabili, nel romanzo del 2005, dato che l’Autore programma la fine del commissario proprio nelle ultime righe.
In sintesi, un romanzo scritto con la consueta maestria, ma, alla fine, un pò deludente, proprio per l’intervento diretto dell’Autore che, convinto di porre fine alle vicende di Montalbano, ha volto essere “presente” allo straordinario evento. Un po’ d’amaro in bocca, insomma: ma per fortuna, altri numerosi romanzi verranno pubblicati, e con grande successo, dopo “Riccardino”.