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Banzai, Anna, Luca e un mistero sul quale far luce
«Ho imparato che il fatto che una vita possa essere banale e al tempo stesso eccezionale è qualcosa che sta negli occhi di chi guarda»
Banzai sa molto bene che i suoi umani non sono propriamente tutti “normali”. Lui che è il gatto di casa ha avuto modo di rendersene conto fin nei minimi dettagli. Già quell’assurda regola che gli impedisce di cibarsi del saltuario ospite criceto Baby, distruttore e portasfiga, seppur certamente con un alto grado di tossicità visto tutte le schifezze che mangia, è qualcosa che non riesce a capire, figurarsi il dover avere come padrona una che parla con gli animali e che ha un figlio di nome Luca che non è propriamente convinto di appartenere a quello strano genere chiamato umano, con quella cosa inguardabile chiamata viso e caratterizzata da inutili sopracciglia, una inconcepibile e orrida protuberanza chiamata naso, palle definite occhi e due segmenti rosa appellati labbra.
Eppure, il buon caro gattone Banzai, deve arrendersi all’evidenza. La sua Anna è capace di capirlo, di prevederlo e pure di rimbrottarlo. Ma con quale coraggio! Dovrebbe essere lui a porgere loro le sue rimostranze per la penuria di cibo di qualità e per la penuria di coccole in quantità!
Ad ogni modo, Anna, non ha scelta. A causa di un piccolo ematoma cerebrale può comunicare sia con le piante che con gli animali. Questa straordinaria capacità, disapprovata dal felino casalingo, le è in verità molto utile soprattutto per il lavoro in quanto le ha permesso di entrare a far parte di una Agenzia investigativa capitanata dal burbero Cantoni – con il quale è sempre rigorosamente in atto una sfida alla puntualità che si gioca sui cinque minuti di anticipo – e affiancata dal buon Tonino che, tra i due, non può far altro che far da paciere. Ad affiancare il trio, ancora, Otto, l’alano super goloso di dolci, incline alla flatulenza e sempre disposto a scroccare qualche grattino del volontario di turno. Ed è proprio in questo contesto che Anna, Cantoni e Tonino si ritrovano a investigare su un caso che sin dal principio stona, non convince. Perché la morte apparentemente o presuntivamente suicida di Armando Piazza, trentaquattrenne, ex tossicodipendente, fin da ragazzino fuori e dentro le comunità di recupero per droga, per mezzo di un gettarsi nel vuoto dal proprio appartamento si presenta sin da subito caratterizzato da una serie di incongruenze che fanno storcere il naso. Dal luogo del delitto così scarno e privo di segni di abitatività, dalla conquistata stabilità dell’uomo nell’ultimo anno a fronte di una vita fin troppo squilibrata, alla presenza di loschi individui al momento del gesto in prossimità dello stabile ove egli pareva vivere. L’indagine inizia il suo corso e Anna non manca di porre le giuste domande ai suoi eclettici informatori affinché la verità sul decesso possa venire alla luce.
«Nel senso che il mondo continua a vergognarsi di loro, mentre sarebbe meglio che si vergognasse di se stesso.»
Ha avvio da questi brevi assunti “Gli insospettabili”, opera prima di Sarah Savioli che prende per mano il lettore per condurlo passo passo in quello che è un giallo originale e ben strutturato e avvalorato da una penna intelligente, brillante, ironica. Eh sì, perché se deciderete di leggere questo titolo vi troverete davanti sì a un mistero da dipanare ma al contempo farete la conoscenza di una serie di personaggi che vi entreranno nel cuore per rimanervi. Sarete affascinati dal felino casalingo già presentato, avrete desiderio di stringere al vostro petto il piccolo Luca con i suoi occhi diversi di guardare il mondo che lo circonda, avrete desiderio di trovare un fisioterapista per Tarta e Rughina, farete anche voi una carezza delicata al saggio Rocky.
E mentre sarete intenti a scoprire cosa si nasconde dietro la facciata di una morte suicida sarete anche chiamati a interrogarvi sulle apparenze, sui pregiudizi, sulle comunità, sulla droga, sugli affetti, sui legami, sul vivere sapendo osservare da una prospettiva a trecentosessanta gradi.
«Ho imparato che quando un dolore non puoi alleviarlo, devi almeno rispettarlo.»
Questo e molto altro è “Gli insospettabili”, un romanzo godibilissimo, adatto a tutte – e per tutte – le stagioni, arguto, lieve ma anche profondo. Uno di quei titoli che si avvicinano con una carezza ma che si sedimentano nell’animo. Da leggere un poco alla volta, da gustare con la calma di colui che è consapevole di aver trovato un piccolo grande tesoro.
«Da mio figlio cosa mi aspetto? Cosa mi spaventa del suo essere simile a me e quand’è che le lecite paure di una madre divengono mancanza di fiducia nei propri figli? Quanto vale davvero il “Non è che non abbia fiducia in te, è che non ce l’ho nelle altre persone”? Quando i propri timori sono solo la proiezione di un passato non ancora accettato?
Se sono io la prima a ritenere che mio figlio non vada bene così com’è, è inutile temere gli altri!
Dovrò imparare, visto che non potrò difenderlo da tutto, a credere in lui; dovrò capire che essere, a suo modo, diverso dagli altri è un diritto che nessuno può né deve intaccare.»
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