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In ricordo di te...
«Macari il morto era vistuto allo stisso modo, sulo che la parte di davanti della maglietta aviva macchi e striature marrò scuro, dovute al sangue che faciva ‘na pozza supra alle basole. La facci non ce l’aviva cchiù, scancillata. Allato alla mano dritta c’era un cellulari. Fu sulo allora che Montalbano, talianno torno torno, s’addunò che supra alla saracinesca ‘nsirrata ci stava ‘n’insegna. C’era scrivuto: “Bar Aurora”.»
Tutto ha inizio con una misteriosa morte, quella di Riccardo Lopresti detto Riccardino. L’uomo, direttore della filiale vigatese della Banca Regionale, sposato con Else ma senza prole al seguito, viene pubblicamente ucciso, pare a causa di una serie di colpi di pistola presuntivamente sparati da un uomo a bordo di una moto. Testimoni dell’esecuzione sono i tre amici di sempre del morto: Mario Liotta, geometra residente in via Marconi, Alfonso Licausi, “giomitra”, residente in via Cristoforo Colombo e Gaspare Bonanno, “raggiuneri”, residente in piazza Plebiscito 97.
I quattro amici hanno condiviso tutto della loro vita non a caso si son sempre considerati un po’ come i “quattro moschettieri”. Soltanto a livello coniugale questo rapporto ha un poco risentito della coesione in quanto la moglie della vittima è sempre stata restia a intessere rapporti di amicizia con gli altri e le rispettive consorti. Salvo Montalbano li preleva letteralmente dal luogo del delitto e li conduce in commissariato. Dopo un cognacchino ha inizio l’interrogatorio atto a delineare la vicenda e a ricostruire gli ultimi attimi di vita dell’assassinato. Tra tutti, Liotta assume il ruolo di portavoce del trio e più va avanti la ricostruzione di quello che sembra essere un fatto evidente e più per Montalbano tutta questa evidenza non c’è. Anzi, al contrario, i tasselli di quell’omicidio non gli tornano, non vanno al loro posto. L’inchiesta viene affidata ufficialmente al dottor Enrico Toti, nuovo capo della mobile, di origine padana, ma Salvo proprio non ce la fa a star lontano da quel delitto perché troppi sono i tarli che si affacciano nella sua mente. Allarga le indagini, analizza il luogo del delitto, le modalità di azione nonché le dinamiche del ritrovamento e arriva a trovare la sua pista. In tutto questo, però, è solo nei suoi pensieri. Affiancato nelle indagini dall’immancabile Fazio e dal buon vecchio Catarella, porta avanti quella che è una inchiesta in cui non manca il suo stile investigativo ma in cui si affianca anche un aspetto introspettivo. Perché Montalbano è stanco, insofferente, sdubbiato. O forse, lo è il suo autore? Perché a prescindere dall’investigazione che viene condotta con la solita e consueta maestria, in “Riccardino” vi è anche un vero e proprio ritratto del rapporto che è esistito tra personaggio e scrittore, un legame che li porta a fronteggiarsi, a parlarsi, a interloquire su quella decennale collaborazione che li ha visti protagonisti. Perché se da un lato Camilleri quella storia la sta scrivendo e intessendo come un romanzo, ecco che Salvo vuol viverla a suo modo in quanto parte della sua vita. Un gioco pirandelliano tra chiaroscuri e controluce sui fili del puparo che confonde quel che è il racconto e quel che è realtà e che al Maestro di Vigata riesce senza difficoltà alcuna.
A rendere ancora più unica quest’ultima avventura, lo stile narrativo. Come noto “Riccardino” vide la sua nascita il primo luglio 2004 e la sua conclusione il trenta agosto 2005 con un Camilleri ottantenne e stanco di portare avanti le vicende della sua creatura, con un Camilleri consapevole di dover cominciare a mettere un punto su tante, troppe cose. Di fatto a questa opera ne sono seguite altre diciotto, di avventure. Avventure a cui si sono sommate altrettanti eterogenei racconti. Lo scrittore tornò a quello che rappresenta l’ultimo lavoro nel 2016 perché proprio non gli andava di lasciarlo “non sistemato”. E così, a novantuno anni, con l’ausilio della cara amica Valentina lo ha rivisitato e formalmente corretto. La trama è rimasta la medesima ma quel che è mutato è lo stile che si è adattato ai tempi. Una lingua che viene aggiornata perché nei tanti anni si è evoluta e continua a evolversi. Il titolo, originariamente provvisorio, è rimasto nel definitivo poiché, nel mentre, l’autore vi si era affezionato e con lui anche noi.
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Ho notevoli aspettative sia sulla costruzione del metaromanzo, per via della grande esperienza teatrale di Camilleri, che sulla stesura del 2005 (gli ultimi capitoli della saga montalbaniana non mi sono sembrati così vivacemente scritti come quelli degli esordi, o forse sono io ad essermi assuefatta).