Dettagli Recensione
Ombre sotto i portici
Tutti gli investigatori protagonisti dei romanzi seriali di Carlo Lucarelli, si contraddistinguono soprattutto per una loro caratteristica peculiare, sempre ben resa dall'autore emiliano: sono funzionari delle forze dell’ordine perfettamente identificabili e riferibili alla loro epoca, sono un emblema rappresentativo, lo specchio dei tempi in cui vivono e agiscono.
Vale per Grazia Negro, protagonista tra l’altro del celeberrimo, bello e originale, “Almost blue”, che procurò fama immediata all’autore, così come per Marco Coliandro, poliziotto all’apparenza un po’ assurdo, patetico e tragicomico.
Nella fiction tv che ne è stata tratta, Coliandro addirittura appare come un Rambo esaltato, razzista e qualunquista, invece nei romanzi è una figura assolutamente reale nella sua normalità, tarata su registri di basso livello, ma ben calato nella sua parte e nel suo ruolo.
Quanto detto si nota a maggior ragione, e soprattutto, in tutta evidenza, per Achille De Luca, commissario di pubblica sicurezza nell’Italia durante il ventennio fascista.
De Luca è, prima di ogni altra cosa, un poliziotto; un uomo votato, per indole, scelta, e dedizione a mantenere l’ordine pubblico, a scoprire delitti e misfatti assicurandone gli autori alla giustizia.
Considera terminato il suo compito allorchè traduce i colpevoli alla contenzione, perché non reiterino oltre i reati o si diano alla latitanza.
Si premura di fornire inoppugnabili prove documentali al magistrato, perché ne tragga le debite conclusioni, decidendo il proseguimento dell’azione giudiziaria.
Non altro, ma dati i tempi in cui vive, è parecchio.
Quello che valorizza l’uomo, è la sua umana ragionevolezza, che riconduce la sua professione in un ambito lecito, nonostante tutto.
De Luca, a differenza di tanti graduati di quegli anni, non travalica, non va mai oltre i suoi limiti, legittimi e legittimati. Vive gli anni bui cui a chiunque, dotato di una divisa o di qualche autorità in qualche modo suffragata, è permesso stravolgere con prepotenza il codice e la procedura, le libertà individuali e democratiche, i diritti elementari della persona, abusare delle sue funzioni, esercitare autorità e dittatura, in nome dell’appartenenza, per scelta o per ruolo istituzionale, all’unica classe politica dominante.
De Luca non è un fascista, meno che mai è uno sbirro della dittatura.
Nemmeno però è un pavido trincerato nella neutralità, uno che si gira dall’altra parte per quieto vivere, che si limita a esercitare il suo lavoro barcamenandosi al meglio, al più ad assistere passivamente allo stato delle cose.
Il comissario pensa con la sua testa e agisce di conseguenza, prova a ricondurre gli eventi in termini ragionevoli, in qualche modo accettabili. Pertanto non chiude gli occhi, ma indaga, come gli è richiesto di fare; va a fondo delle cose, ricerca la verità, ma mai per punire, per perseguitare, per propositi di carriera, il suo compito è solo ristabilire l’esatta cronologia degli eventi, perché emerga la verità. Lo fa con onestà, dedizione, intelligenza e buon senso, ma non è né un giustiziere e nemmeno uomo che chiude gli occhi.
Le miserie umane spesso, troppo spesso, sono indotte dalle circostanze, e ben altri misfatti, assai più gravi, svolti però con intenzione, restano spesso impuniti, nonostante i suoi sforzi.
Ne è conscio, sia del suo valore sia del suo ruolo, deve arrendersi spesso contro forze di persuasione maggiori delle sue possibilità, ma si mantiene integro, e continua il suo lavoro.
Sono i tempi a rendere difficile la sua professione; ma a renderla davvero difficile è la sua ragionevole onestà, non altro.
Achille De Luca è una vittima dei tempi, come tantissimi altri suoi compatrioti; si schiera a suo modo dalla parte giusta, ma non è, non può essere, un doppiogiochista, non è nella sua indole.
Non è uomo che ha aderito al fascismo e alla dittatura per convinzione; si è trovato in questi tempi, si è adeguato, obbedisce, perché ligio all’ordine costituito, in silenzio ma senza rinunciare a ragionare con la sua testa, dedito alle autorità e ai superiori che il destino gli ha imposto.
Simpatizza magari per gli antifascisti, per la resistenza, e però non milita apertamente nelle file dei partigiani, anche se ne condivide le idee: è confuso, ma perché come tanti non può avere le idee chiarissime a priori, resta un servitore dello Stato, gli spiace che lo Stato sia nero, nero come l’inverno del 1944 a Bologna in cui agisce, ma non si tira indietro, non si nasconde, agisce.
Indaga, fa il poliziotto, magari con discrezione, e altrettanta determinazione, cerca di non venire mai meno ai dettami della sua coscienza di uomo.
Achille de Luca è, prima ancora di essere sì un poliziotto, è un uomo onesto, e non ha alcuna intenzione di dimenticarsene.
Ha paura, rischia la vita, non è un eroe, è folle di terrore di essere torturato e ucciso dai tedeschi che ormai non fanno più distinzioni tra italiani amici e nemici, ma insiste, investiga, indaga, ricerca prove e verità valendosi del suo fiuto investigativo, della sua cocciutaggine, spinto da un ardore esistenziale che lo conduce, sempre e comunque, alla ricerca della verità.
Tanto è abile nella sua professione, che è da tutti ricercato per questo, è stimato dai vertici della Questura, della Milizia Politica, dagli occupanti tedeschi, ma certamente, assai di più, dai Resistenti.
L’attrattiva che ne fa un bel personaggio, stimato da tutti, è la sua coerenza, tanto è lineare la sua condotta così descritta da Lucarelli, che finanche il lettore la avverte, e glielo rende gradito.
Un bel personaggio, un libro ben scritto, con una storia resa bene, un’ atmosfera sapientemente ricreata con accuratezza, articolata nei particolari, convincente, a mio avviso il libro migliore di Lucarelli con De Luca protagonista.
In questo romanzo De Luca agisce a Bologna, nel ’44, anno di guerra e di brutale occupazione nazista, anno di fame nera, di pericolo nero, di ombre nere sotto i portici, semmai portici siano rimasti ancora intatti in una città martoriata dalle bombe: “…al primo calar del sole, il coprifuoco avrebbe trasformato il suk dentro le mura di Bologna in una città fantasma, accecata dall’oscuramento e muta, a parte gli scarponi delle pattuglie o quelli dei partigiani”.
Sono tempi incerti, e il nostro è coinvolto in una triplice indagine:
“…De Luca pensò che ultimamente erano in tanti ad offrirsi di essergli amici nel futuro in cambio di una collaborazione, la prefettura, i tedeschi, adesso anche la resistenza…”
Non si tira indietro, lo fa per sé, perché è il suo dovere, perché gli è stato ordinato, lo fa perché glielo chiede un amico e collega che milita nella resistenza, e lo fa perché uno degli assassinati su cui indaga è un tedesco, e se non trova il colpevole da consegnare al comando delle SS, saranno fucilati per rappresaglia dieci italiani.
C’è tutta la motivazione di vita di Achille De Luca in questa triplice indagine.
Perciò lo vediamo giorno e notte ostinatamente in giro in bicicletta, a piedi, in sidecar, in auto, per la città, alla ricerca non tanto dei colpevoli, ma della verità, perché è la verità la sola che può servire a ristabilire almeno una parvenza di status quo.
Per chi conosce Bologna, risuonano i nomi familiari di strade, luoghi, locali, gli stessi di oggi, mai cambiati: via Rizzoli, via Ugo Bassi, Via Indipendenza, via Volturno, Via Dè Monari, il teatro del Corso, il cinema Manzoni, il ristorante “Diana” e il “Donatello”, le Due Torri, la basilica di San Petronio.
Lucarelli rende così omaggio alla Dotta, scenario delle sue storie, che ha fatto la sua fortuna.
Viene a capo della verità, De Luca: ma è stanco, sempre più stanco, ormai.
Non può esimersi, sa che: “…in qualunque momento, ci sarà sempre bisogno di gente come noi.”
Poliziotti sì, ma per bene. Gli unici che, in qualche modo, portano il calore della verità, ogni tanto.
A loro discapito, tenendo il gelo dentro di sè:
“Se lo sarebbe portato dentro per sempre, quell’inverno. Quell’inverno così ruvido e freddo.
Così nero.”
Indicazioni utili
Commenti
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |
Ordina
|
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |