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I vari volti del male
«Michelino, nella vita non vince sempre chi spara per primo.»
Tripoli, decennio anni Sessanta/Settanta. Michele Balistreri è un giovane adolescente in astio col padre, infatuato del volto della madre, Italia. Ella è per lui l’idolo da seguire, l’emblema del giusto, il modello detentore della verità e custode di quel fascismo che giorno dopo giorno il giovane assorbe e fa proprio dalle sue parole. È ancora l’eroina perché resiste a quel marito che viene dal nulla ma che così tanto vuole difendere la propria posizione. Michele ha un gruppo di amici molto lontano dal suo ceto sociale e tra loro viene sugellato un patto di sangue che li accompagnerà senza mai ammettere deroghe. Anche quando il corpo di una giovane donna viene rinvenuto con la figlia privo di vita in condizioni di avanzato stato di decomposizione, anche quando la sorella di uno di quei membri del patto di sangue viene rinvenuta in quel che resta del suo abito blu deceduta e violata per mano bruta altrui. Le peripezie, il lasciar la scuola, il riprenderla. L’esodo forzato che lo riporta contro sua volontà nel paese d’origine.
«Ora capisco. Questo è il mondo in cui devo crescere. Alcuni esseri umani valgono quanto le scimmie.»
Roma, 1982. Michele Balistreri, il poco più che trentenne e svogliato Commissario che abbiamo conosciuto in “Tu sei il male”, è ancora provato dal fallimento del caso Sordi quando viene incaricato di occuparsi di un nuovo delitto. L’omicidio perpetrato lo obbliga a tornare indietro nel tempo e proprio a quegli anni tra il 1962 e il 1970 del suo vissuto libico e di tutto quel che questo ha rappresentato. Ed è qui che si tratteggia la maestria del narratore perché questa prima e questa seconda parte, che si inseriscono cronologicamente prima e dopo l’omicidio di Elisa Sordi, si ricollegano tra loro e al primo episodio creando un unico filo conduttore.
E se in una prima porzione di narrato siamo colpiti dalla ricostruzione del passato del protagonista, un volto i cui tasselli del puzzle pagina dopo pagina si ricompongono sino a delinearne i tratti completi, un volto di giovane che odiava sentirsi incatenato, che non sopportava la democrazia e quel suo accostarsi alla parola “libertà” in contrapposizione a un qualcosa di precedente e negativo e che eppure veniva idolatrato dalla madre, il volto di un giovane che mai e poi avrebbe voluto assomigliare e diventare come quel padre venuto dalla povertà e ambizioso e desideroso di non tornarvici, dall’altro assistiamo al come quell’adolescente testardo e scontroso sia diventato il Commissario che conosciamo, un uomo schiacciato dai sensi di colpa, dagli errori commessi, dai torti subiti, dal passato vissuto, un uomo che ancora ritroviamo adulto e con una nuova e profonda maturità che mai cela quel suo esser stato e quel suo esser dannato.
Con un ritmo che rallenta e accelera a seconda del periodo e delle vicende che si susseguono, con un perfetto connubio tra finzione e realtà, Roberto Costantini dona al suo lettore un secondo capitolo delle avventure di Balistreri perfettamente complementare al primo, necessario ma non meno all’altezza, dall’intreccio solido e parimenti complesso e senza mai cadere nell’inverosimile. L’autore, attraverso la forma del thriller, tratta anche di tematiche che vanno dalla conclusione del Secondo Conflitto Mondiale, alla colonizzazione della Libia, alle questioni ancora oggi attuali inerenti al petrolio, alla corruzione politica, all’ascesa di Gheddafi e a tutto quel che ha significato, sino ad arrivare ai giochi di potere, al Vaticano, a quel male radicato nell’animo umano quasi come se si trattasse di una conditio sine qua non.
Il risultato è quello di una fotografia del volto dell’Italia per mezzo della ricostruzione di quello del protagonista che nelle sue settecento pagine si lascia semplicemente divorare.
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