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Un uomo in mutande
 
Un uomo in mutande 2020-06-15 16:43:08 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    15 Giugno, 2020
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Ma in mutande restano in tre...

E’ forse una delle storie bellanesi meglio riuscite quest’ultima opera di Andrea Vitali, una storia ricca di personaggi, di humour e di ironia. Siamo nel 1929, in piena era fascista: il maresciallo Maccadò sogna un figlio che forse la moglie Maristella gli darà a breve, vigila sulla comunità e sulle sue beghe quotidiane fatte di poco o niente (gente un po’ fuori di testa, ubriachi del sabato, pettegolezzi di paese, relazioni con le autorità in visita) e sogna ad occhi aperti una nuova vita lontana dalla noiosa routine di tutti i giorni. Routine fatta anche purtroppo da uomini in mutande. Gli uomini “ in mutande” sono in realtà rappresentati da tre personaggi, colti tutti e tre in mutande e tutti in situazioni a dir poco singolari. La prima storia, la più significativa, è quella di un sedicente farmacista di Merate, un bellimbusto figlio di papà, costretto ad una precipitosa fuga notturna dall’abitazione dell’amante, Percilla Massamessi, sorpreso dall’inatteso ritorno a casa del marito, direttore delle poste locali: nel trambusto dimentica il portafoglio ed i pantaloni, scontrandosi poi inavvertitamente e malamente con la levatrice Aristidina Zambetti, di ritorno dall’assistenza ad un parto. La donna, in stato di incoscienza, sarà poi ricoverata e la colpa del fattaccio ricadrà su tale Salvatore Chitantolo, un ragazzo buono come il pane ma mentalmente ritardato per un malaugurato trauma infantile. La seconda storia mette in scena il postino del paese, Erminio Fracacci, aduso, oltre che ovviamente a ritirare ed a consegnare la posta, a fare numerose soste nei bar locali indulgendo a generose e ripetute bevute. Si dà il caso che il direttore delle poste, promosso di grado alla sede provinciale di Belluno, inviti ad un sontuoso pranzo di addio i dipendenti dell’ufficio ed i maggiorenti locali: tra gli invitati c’è anche il Fracacci, che, pur sentendosi come un pesce fuor d’acqua fra cotante personalità, pensa addirittura che l’incontro sia organizzato per premiarlo dell’atto benemerito della restituzione del famoso portafoglio. Per farla breve: il poveretto, proprietario solo della sua divisa, per altro sdrucita e perennemente macchiata, si fa prestare un abito adeguato alla cerimonia ma non alla sua corporatura ed i pantaloni, tenuti assieme da mollette e spille, gli cadono a terra durante un brindisi, lasciandolo in mutande e costringendolo ad una fuga precipitosa. Infine ecco il terzo uomo in mutande del romanzo: Lucchinetta, lo spazzino del paese, che al termine di una serata di bisboccia all’osteria tra lazzi e frizzi si troverà in mutande, non solo, ma fermato dai carabinieri all’uscita del locale terminerà la notte in guardina.
Attorno a queste tre vicende, Vitali infila una serie di altre storie, animate da personaggi che difficilmente si dimenticano. Indimenticabile è infatti la dirigente dei locali fasci femminili, Fusagna Carpignati, una zitellona autoritaria e piena di brio che si invaghisce in modo maniacale, sempre respinta, via via dei personaggi più in vista del paese, passando instancabilmente dal direttore delle poste ad un politico di grido, fino al carabiniere più belloccio del posto ed infine al capostazione del paese, nonostante la disperazione rassegnata della madre e le continue minacce di ceffoni da parte del padre. C’è poi la vicenda di un senatore del regno che giunge a Bellano per promuovere un progetto di “redenzione igienica” (leggi: rifacimento di acquedotto e rete fognaria) : il poveretto, che soffre dalla nascita di atonia intestinale necessitando perennemente di clisteri evacuativi, viene colto da dolori lancinanti, con conseguente ricovero nel locale ospedale, intervento chirurgico e successive imbarazzanti emissioni di effluvi maleodoranti. Non poteva mancare infatti il fiore all’occhiello di Bellano, l’ospedale diretto dal professor Bombazza: unico neo del primario il desiderio incoercibile di cimentarsi in un intervento di craniotomia, frenato con i dovuti modi dalla vera anima del nosocomio, la sempre vigile suor Anastasia.
“Un uomo in mutande” non fa che confermare Andrea Vitali, medico e scrittore, come eccellente rappresentante di una letteratura popolare italiana sempre viva e vivace: la sua abilità come narratore di storie di tanti comuni personaggi di Bellano, comuni ma divenuti paradigmatici nelle loro vicende e nei loro comportamenti, è ormai avvalorata dai numerosi premi letterari vinti e dalla traduzione dei suoi romanzi in moltissimi Paesi.
Un applauso convinto quindi a Vitali (è anche un collega che ammiro e stimo) per la sua capacità di narrare sempre nuove storie, individuando con arguzia ed ironia aspetti, anche curiosi e bizzarri, della nostra vita d’ogni giorno. Una nota a parte, in quanto a curiosità e bizzarria, meritano i nomi dei personaggi ( so dove li va a pescare, mi sembra di averlo già raccontato in un’altra recensione), tratti etimologicamente da un passato familiare antico e consolidato nel tempo: Percilla, Fusagna, Omario, Erbice, Letterio, Fiamma, Geode, tanto per citarne alcuni, sono uno straordinario omaggio alla letteratura, non solo popolare, e non si dimenticano facilmente.

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