Dettagli Recensione
Differenti modi di amare
Antonio Manzini ci ripresenta, in quest’ultimo romanzo, il suo personaggio meglio riuscito, quello che gli ha regalato fama e popolarità: Rocco Schiavone, l’originale e anticonvenzionale vicequestore della polizia di stato, e dicesi vicequestore, come lui stesso sottolinea, i commissari non esistono più.
Schiavone, romano purosangue, un romanaccio di quelli viscerali, dislocato a forza in quel di Aosta, nell'immaginario collettivo ha le sembianze di Marco Giallini, l’attore che ben lo interpreta nelle fortunate fiction tratte dai romanzi della serie.
Tuttavia, il personaggio di carta ha qualcosa in più, a mio parere è preferibile e meglio contraddistinto, presenta dei tratti più precisi e incisivi, delle definizioni caratteriali che non sempre risaltano nella trasposizione cinematografica.
Non è, infatti, una macchietta in romanesco, come potrebbe apparire, burbero e furfante, affatto.
Meno che mai un casareccio Robin Hood, che ripara torti e distribuisce favori agli amici, e che comicamente si trova a operare in un habitat non ideale per la sua indole.
E per di più spinellando a gogò, in stile casual chic.
Di divertente ha poco, Rocco Schiavone, semmai possiamo definirlo meglio sarcastico e disilluso, è piuttosto un emblema di serietà e praticità del vivere, in verità essenzialmente un uomo duro e temprato dalle miserie della vita.
I fatti della vita, suo malgrado, l’hanno reso scontroso, diffidente, soprattutto stanco delle miserie umane, ai quali tenta da sempre di porre un freno, e che lo vedono, puntualmente, sconfitto e deluso. Certo, fanno da contraltare alla sua solitudine di uomo e di poliziotto degli intermezzi ironici, ma dopotutto la vita è così, alterna momenti tragici a quelli comici con tutte le diverse sfumature possibili. L’ironia e il sarcasmo delle storie appartengono invece più a certi bislacchi elementi della sua squadra.
Agenti però per niente improbabili, tutt'altro, c’è da rilevare, sono davvero figure veritiere, con i loro limiti, le loro preoccupazioni, gli stress e le poche ore di riposo, le scarse possibilità economiche, magari il doppio lavoro in un panificio, e pensieri balzani, al limite dell’illecito, ma sono veri, non invenzioni letterarie.
Il vicequestore stesso è figura reale, è un di più di quello che appare in video, è una persona a prima vista malinconica, un introverso malgrado le origini popolari e caciarone, una persona insofferente e un po’ orsa, pronto spesso a deviare dalla linea diritta della giustizia, se la traiettoria non lo convince del tutto. Perché diciamolo, è un poliziotto che infrange spesso e volentieri le regole, è vero, che si macchia di qualche delitto, e non importa di quale misura, non dovrebbe farlo e basta, è pur sempre una persona per scelta e giuramento tenuto a far rispettare la legge dello stato, senza deroghe ed eccezioni. Rocco Schiavone però, appunto, non è un eroe, è un uomo comune, con la sua storia, che l’ha plasmato esattamente nel modo tutto suo come si presenta.
Nato e cresciuto in un quartiere popolare e borgataro di Roma, di quell’ambiente difficile di vita conserva memoria, esperienza, e soprattutto amici. Marchiati a fuoco sulla pelle e sul cuore.
Conosce direttamente i casi della vita, le ingiustizie e le ipocrisie, perciò è un uomo di conseguenza.
La vita ha deciso per lui, si è avviato a una professione che gli permettesse, in qualche modo, di rimediare certi guasti; accorgendosi ben presto che sarebbe stata impresa vana.
L’ipocrisia, il delinquere, il malaffare, non è prerogativa solo di certi ambienti e strati sociali; è assai più frequente, e invasiva come un bubbone maligno, in altri livelli cosiddetti perbene e perbenistici.
Ne consegue un suo barcamenarsi tra lecito e illecito, tentando in qualche modo di trarre anche vantaggio materiale per sé e per i suoi da qualche digressione alla regola, ma questo è umano, comprensibile, dati i precedenti, vista la sua esistenza, la sua origine, e a quanto assiste.
Reagisce perciò d’istinto, segue il suo cuore profondamente buono, dopo tutto, onesto e leale, è questo suo essere normalmente istintuale verso il bene che gli dona spessore reale, è un difetto che lo rende comune, vero e non inventato.
Dato il suo spessore umano, commette reati da “cattivo” anche se fa parte dei “buoni”, ma resta fedele ai cardini vincolanti dell’etica del buon senso, della ragionevolezza, del non commettere azioni magari perseguibili penalmente, ma giustificati coram populo, dal senso di giustizia spicciola, rapida e diretta, che ognuno coltiva in sé.
Come dire, rubare a un ladro non è un furto.
Nemmeno uccidere un pluriomicida.
E farsi una canna, non è lo stesso che rovinare giovani spacciando.
Insomma, un comportamento opinabile il suo, ma di qualche moralità, almeno accettabile.
Pagandone per di più il prezzo in prima persona, per esempio con la scomparsa dell’unico amore della sua esistenza, la moglie Marina; e in seguito anche con l’allontanamento coatto dalla sua città, dal suo ambiente, dalle sue radici, i suoi odori, i suoi gusti, i suoi amici.
Trasferito in un locus all'estremo della sua indole, in Val d’Aosta, regione splendida ma semplicemente agli antipodi del suo modo di intendere l’esistenza, che lo porta ad affrontare per esempio neve alta con un paio di polacchine Clark, più adatte per una passeggiata a Villa Borghese.
Rocco Schiavone è un uomo qualunque, con una sensibilità estrema, un’empatia umana sopra la media, cui però la vita ha riservato il colmo dei destini per un uomo di simile inclinazione: Schiavone ama la pulizia di spirito, la lealtà, la fedeltà agli amici, l’amore per la sua donna, ed è invece costretto quotidianamente a sguazzare tra omicidi, lordure, tradimenti, infedeltà, violenze e tutto questo fango, alla fine, gli penetra sottopelle lasciandogli un alone scuro.
Quest’ultima avventura lo trova convalescente, poco prima del Capodanno, in un letto d’ospedale a Aosta, dove si va riprendendo dopo l’operazione a seguito di una grave ferita, dopo un conflitto a fuoco nell'esercizio delle sue funzioni.
Uno scenario diverso dalle sue abituali avventure tra Roma e Aosta, una storia a campo ristretto, un ospedale, nel quale Schiavone, ancora più insofferente del solito nei panni del paziente, indaga efficacemente su un caso di presunta malasanità.
Qui Manzini approfitta, forse per il periodo natalizio scelto in cui fa decorrere il suo racconto, o per una forma di riguardo per la location, un ospedale, un luogo impregnato prioritariamente di sentimenti empatici come il dolore, la sofferenza, la pietas umana, e si sbizzarrisce in parentesi di vario genere in cui espone differenti modi di amare, le ragioni, i motivi e le cose che fa fare l’amore, ah l’amore, proprio.
Assistiamo così all'instaurarsi di un qualche rapporto affettivo tra Rocco Schiavone e la giornalista Sandra Buccellato, che si svolge con esito imprevisto e imprevedibile.
Vediamo il consolidarsi dell’unione tra un valente anatomopatologo, restituito a dimensione fallibile da una banale distrazione, e una professionista della scientifica, tanto brava e diligente quanto insolita, una vera miracolata dalla legge Basaglia, che le permette di girare a piede libero.
Siamo in prima fila nel seguire le triple evoluzioni ginniche sessuali del neo ispettore Antonio Scipioni, che finirà per preferire la vicina di casa, molto più rassicurante.
Triste vedere il consolidarsi dell’insano rapporto tra il poliziotto Italo e la ludopatia; struggente ascoltare l’accorata, testarda e disperata richiesta di conservare l’amicizia, che altro non è che una specie d’amore, con il suo vicequestore, che viene dall'inetto poliziotto D’Intino; sorridiamo davanti alla burocratica dichiarazione d’amore di Casella.
Più di tutto, forse la manifestazione d’amore più gradita per Schiavone, è quella fattiva, pratica, sbrigativa e affettuosamente intensa dell’amico di una vita, Sebastiano.
In questo romanzo Manzini ha raccontato di Schiavone, certo; e però, mai come stavolta, ha dato ampio spazio ai comprimari delle sue storie.
Quasi volesse indicare che, anche per il vicequestore, gli anni passano, che non è invulnerabile, forse è il caso che si metta un momento da parte, che faccia un passo indietro.
È questa sua fragilità, che lo rende umano, perciò gradito.
Anche con un pezzo in meno. Questione d’amore, quindi, ah l’amore, l’amore.
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Commenti
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Pare che molti in Italia scrivano libri di questo genere. E vendono pure. Ma penso non siano nelle mie corde di lettore.
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