Dettagli Recensione
“L'ultima spiaggia della medicina è l'amore”
Indovinatissima e quantomai attuale l’ambientazione tutta ospedaliera messa in scena da Antonio Manzini nell’ultimo capitolo di questa fortunata serie. Il punto d’osservazione è quello di un ricoverato d’eccezione, l’anticonvenzionale vicequestore romano trasformatosi per l’occasione in indisciplinato e irrequieto degente, in ripresa dopo un delicato intervento e determinato a vederci più chiaro su un presunto caso di malasanità che ha coinvolto il reparto.
Attraverso i suoi occhi vediamo medici e infermieri. Uomini e donne con le occhiaie, il viso stanco e la sensazione, a volte, di combattere contro mulini a vento fatti di burocrazia, lamentele, indifferenza. Sembra non bastare mai, la fatica, e forse mollare potrebbe essere quasi una liberazione. Eppure, ogni giorno, si rimettono quel camice sottile di apparente distacco e cinismo, per lottare e rischiare e provarci, ancora e ancora.
Attraverso i suoi occhi vediamo pazienti e visitatori. Il molesto evasore fiscale che non smette di borbottare contro quella stessa sanità che gli ha appena salvato la vita. L’uomo comune che si riscopre egoista, attaccato al proprio fragile bene. E una schiera di mogli, fidanzati, fratelli e genitori, a portare un dono, un gesto o una parola di quotidianità, nella speranza che quel piccolo sorriso possa far sentire il malato meno solo, in questa guerra senza armi contro un nemico invisibile.
“L'ultima spiaggia della medicina è l'amore”.
È proprio questa frase ad avermi guidato come chiave di lettura lungo le pagine, rendendomele così care in un momento in cui la malattia tocca da vicino tutti noi e ha frantumato persino quel piccolo sollievo fatto di vicinanza, di carezze, di sorrisi. Non importa allora se, in fin dei conti, questo romanzo risulti essere un episodio un po’ interlocutorio, cha nulla sembra aggiungere al mosaico della storia di Rocco Schiavone. Non importa se il nostro scontroso e acciaccato poliziotto appaia un po’ sottotono, sullo sfondo di una vicenda che per una volta gioca e gigioneggia soprattutto con la schiera di personaggi secondari. Sono l’umanità, la prossimità emotiva e la dolorosa malinconia di quest’ambientazione che questa volta sorreggono tutto.
“Era come la storia di quelle foglie autunnali sugli alberi, pensava ricordando la breve poesia scritta dentro una trincea, e in fondo quello era il nosocomio: una trincea dove le bombe erano silenziose, il nemico senza nome te lo portavi dentro e ogni giorno rosicchiava un po’ di vita”.