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Ghezzi e Carella indagano per conto proprio.
Siete stanchi e saturi della prosa sovente sgrammaticata e imperversante dei cosiddetti social, dei decreti e delle ordinanze che ci assillano, delle solite noiose comunicazioni burocratiche e di un certo giornalismo d’accatto che si insinua con titoloni perentori nella nostra quotidianità? Godetevi allora questo bel romanzo di Alessandro Robecchi e la sua scrittura elegante, forbita, priva di sbavature, ammiccante quando occorre, sempre godibile. Un’oasi di serenità, un testo da leggere magari accanto ad un caminetto, di sera, sorseggiando un buon vino d’annata e abbandonandovi alle smaliziate vicende degli ormai ben noti protagonisti dei gialli robecchiani: l’imperturbabile autore di televisione spazzatura e investigatore per caso Carlo Monterossi, la sua fidata Katrina, cuoca moldava e sopraffina nonchè severa custode del palazzo, e soprattutto i due straordinari ed originali tutori della legge Ghezzi e Carella. I due poliziotti questa volta sono gli assoluti protagonisti del romanzo, relegando Monterossi al prologo allorquando il sovrintendente Ghezzi, invitato a cena con la moglie Rosa, lo mette al corrente delle ultime vicende professionali (qui narrate: ”Che ne sa, lei, di quello che c’è là fuori, Monterossi?”). I due poliziotti operano ognuno per conto proprio. Ghezzi è alla ricerca di un detenuto dimesso dal carcere e misteriosamente scomparso: Franca, la morosa, è disperata e teme per la sorte del suo uomo. Carella invece, vecchio lupo solitario, chiede le ferie per dar la caccia con mezzi non proprio ortodossi ad un delinquente, anche lui scarcerato, ma gravato da sospetti di violenze, pestaggi ed omicidi ancora non ben chiariti. Ma Carella indaga, si cala nei panni di malavitoso, frequenta i luoghi più malfamati di una certa Milano sotterranea che si anima di notte, con bar e locali che sono solo coperture, con buttafuori nerboruti e clienti con i cellulari sui tavoli, pronti a rispondere a chiamate di servizio: locali dove non mancano boss in doppiopetto, che gestiscono affari milionari con la malavita ma che, all’occorrenza, sanno manovrare anche le graduatorie di concorsi pubblici sfruttando conoscenze ed appoggi nella Milano che conta. Le imprese di Carella trapelano in Commissariato, si teme che l’agente si adegui troppo alle circostanze in cui opera usando mezzi illegali e così il buon Ghezzi, l’amico e collega, viene incaricato di sorvegliarlo discretamente, senza dar nell’occhio. Intanto succedono altri fatti: un furto di gioielli e monete in casa di un ingegnere, il pestaggio mortale di un vecchio antiquario, un pacco di droga che scompare, un giro sospetto di prostitute… Alla fine tutti i nodi irrisolti delle indagini vengono sciolti, grazie anche alla collaborazione tra i due protagonisti che ritrovano la vecchia amicizia, sia pure con un risvolto punitivo per le iniziative poco regolamentari del sovrintendente Carella. Mai forse come in questo giallo emergono le caratteristiche, magistralmente delineate, dei due poliziotti. Ghezzi è tranquillo, metodico, rassegnato ad un tran tran lavorativo monotono, scandito da indagini di basso livello, scartoffie da consultare, ordini da eseguire tacendo. Carella è tutt’altro: il desiderio di punire i colpevoli, di fare in qualunque modo giustizia, di perseguire chi tenta di farla franca è troppo forte, a tal punto da fargli trasgredire a volte leggi e regolamenti. C’è in lui un sacro fuoco che lo divora, soprattutto quando le vittime sono deboli, indifese o ingiustamente accusate. Ed è solo, il bravo Carella: nessuno l’aspetta a casa, si svaga con passeggiate ai giardini pubblici di Milano, fra l’altro vicini alla Questura, ed accarezza l’idea di comprarsi un cane, che, si sa, è amico fedele e chiede in cambio solo qualche carezza. Ghezzi invece ha la Rosa che l’aspetta a casa: i manicaretti che gli prepara ed i pettegolezzi che gli racconta lo consolano delle beghe di una vita di lavoro routinaria. I due, a loro modo, sono diversi ma complementari, e l’amalgama che tra loro si crea è straordinaria: si cercano, collaborano, sono funzionali ed i risultati si vedono, chiari e inequivocabili. Ma quanta differenza tra il loro mondo (suggerisce Ghezzi a Monterossi durante la famosa cena) e il mondo falso e patinato raccontato in TV, dove tutto è caricatura e non si sa veramente “cosa c’è là fuori”.
E poi c’è la Milano di sempre, quella che vive di notte piena di misteri e di attività più o meno proibite, ostelli miserabili, bilocali in caseggiati anonimi dove ruotano prostitute sfruttate senza scrupoli, e quella alla luce del sole, il centro, via Farini, piazza Cavour, la Questura, la periferia con le sue cascine e via via fino a Malpensa, le pozze ed i laghi del varesotto. E’ una Milano grigia, vista con occhio malinconico e quasi senza speranza, una Milano che si consuma lentamente in una quotidianità ripetuta e disarmante.
La scrittura è incisiva, senza retorica e svolazzi. I personaggi sono sempre indovinati: manca ancora un cane per Carella, ma forse lo incontreremo nella prossima puntata.