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Profumo agrodolce di donne e di agrumi
Questo è un romanzo datato, edito da una decina d’anni circa, non per questo meno bello e intrigante, attualissimo, una buona lettura, una storia ben scritta e ben raccontata, direi rilassante e ammaliante, semplice e complicata insieme come può esserlo una…bella ragazza del nostro sud, che ti affascina, ti attrae, ti fa sorridere, anche tribolare, penare e riflettere tutto insieme.
Insomma un romanzo che è esattamente come un’arancia, che è un signor frutto: sa essere bella tonda, sanguinella e zuccherina, ma ha anche un che di aspro e di tosto, si presta a numerose varianti, nudo e crudo, in spremuta, in torte o in scorze candite, insomma una frutta eclettica, come eclettica e multiforme sanno essere le donne, certe valenti ragazze in particolare.
A ben pensarci, le due metà di una bella arancia, le due circonferenze, dopotutto richiamano moltissimo i seni di una bella figliola, sono della misura giusta, tanto da essere facilmente contenuti in una coppa di champagne o nella mano di un gentiluomo.
Un po’ come accade per quelle simpatiche cassatine che si preparano in onore della santa patrona di Catania, S. Agata, le “minne” di Sant’Agata appunto; ma mentre queste sono bianco latte con ciliegina rossa, e si gustano al meglio in Sicilia, gli agrumi che intendiamo qui sono quelli originari della splendida Puglia, terra di masserie, olive, olio, burrate, puccia salentina, pizzica e appunto aranceti.
Sempre di profondo sud si tratta, ma volete mettere, tutta un’altra cosa, e la circonferenza delle arance del posto si prestano a rendere meglio il personaggio principe di Gabriella Genisi, di cui da poco è edito il suo ultimo “I quattro cantoni”.
Protagonista seriale di questo e molti romanzi a seguire della Genisi è Lolita Lobosco, per gli intimi Lolì, commissario di Polizia in quel di Bari, a cui la circonferenza delle arance però mal si adatta, in verità, trattasi di quel che si dice una bella ragazza prosperosa, avendo un seno di misura ben superiore, e con il frutto citato ha in comune solo la passione smodata con cui lo gusta in tutte le varianti, in spicchi come in preparazione culinarie varie, di cui è maestra appassionata.
Una specie di Montalbano in gonnella, quindi, ma assai diversa dall’eroe di Camilleri, la Lobosco prima di essere una poliziotta, svolgendo quindi un’attività considerata tuttora di appannaggio esclusivamente maschile, è una donna, e una donna assai in gamba anche.
Una delle donne moderne vanto del nostro Sud, fedele ai valori antichi e genuini e alle tradizioni, specialmente culinarie, della sua terra; e però una ragazza moderna, liberamente e femminilmente calata nel suo ruolo, che le calza a pennello proprio perché lei stessa la adatta a misura di donna.
Veste la divisa, in tutti i sensi, metaforicamente, senza nulla concedere alla differenza di genere. Non è il commissario Lobosco, è la commissaria; non è un poliziotto, è la poliziotta; lo rimarca, lo sottolinea, semplicemente pretende di vivere la sua realtà di genere, svolge con efficace normalità il suo ruolo, la sua professione senza nulla cedere agli stereotipi che ritengono inammissibile ad esempio un poliziotto con i tacchi.
Lolì i tacchi li porta, spesso e volentieri, tosta e dalle idee chiare, ben decisa a farsi largo nel retaggio simil medievale del suo ambiente di lavoro, incurante dei lazzi, dei commenti maschilisti e fastidiosi, delle pressioni e considerazioni inopportune e talora affatto gradevoli cui è sottoposta.
Una donna che vive e lavora tra i maschi, come tante, dunque, e che a differenza di molte sa farsi rispettare benissimo, nonostante i pessimi maschi che abbandonano sulla faccia della terra: e solo per questo suscita immediatamente la nostra simpatia.
Le ragazze determinate e capaci, ben decise a farsi rispettare, di fatto, o inconsapevolmente conseguono consenso unanime, inutile discuterne oltre.
Poi è anche una bella donna, ben descritta; e attraverso il suo personaggio, Gabriella Genisi ci immerge nella cultura, nei luoghi, nelle usanze e nelle tradizioni di un territorio, il suo, quello di Bari, e della Puglia, usando pure sfiziosissimi modi dialettali d’intendersi, esattamente come fanno i colleghi del commissariato di Vigata di Camilleri.
Descrive il sud, Gabriella Genisi, attraverso quello che potremmo definire il suo alter ego Lolita Lobosco, il sud dell’Italia splendido e splendente, esecrabile e sgradevole, tutto e il contrario di tutto, che poi è quello che rende unico e affascinante, quantunque le pecche, il nostro Sud.
E lo descrive attuale, vigente, reale, ci parla di violenza carnale, vera o presunta, di amore, di passioni vecchie e nuove, di sesso tanto per dire e tanto per fare, di tradimenti, di avidità, di difetti fisici tramandati su base genetica, di femminicidio, di misteri svelati tramite un indizio trascurabile inciso su…un’arancia, perché no.
Lolita Lobosco non risolve gialli e misteri, non solo almeno: essenzialmente, i romanzi di Gabriella Genisi ci mostrano, con semplicità, quanto meglio le donne sanno fare le cose che certa cultura vuole siano prerogativa solo maschile.
Non è questione di competizione, ma è che a loro riesce meglio, facile, come sbucciare un’arancia.