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GIONA CHE VISSE NELLA BALENA
Il tema di “L’inverno di Giona” è l’eterno dilemma tra bene e male in cui ciascuno quotidianamente oscilla, e perciò di conseguenza il romanzo parla di fare e subire, di giusto e sbagliato, di sanità e pazzia, è un romanzo multiplo quello di Filippo Tapparelli, è una storia di moltitudine di emozioni e perciò emoziona ai più, piace a tanti, avvince tantissimi, incolla chiunque alle pagine, si presta a diverse letture e rivisitazioni, e, però il tutto riconduce, con semplicità e maestria, all’estrema essenzialità dell’esistenza umana.
Non è più un bambino, non è ancora uomo, Giona: e nella sua breve esistenza, cresciuto dal suo unico parente, il nonno Alvise, non ha mai provato nulla più di un sacco di botte elargitegli con spietato intento pedagogico dal vecchio, e nemmeno un ricordo.
È un nemico immane, il vecchio, potente, perché è il capo temuto e riconosciuto dall’intera piccola comunità montana in cui si trova la sua casa; gli altri paesani, sarebbero anche disponibili a mostrarsi umani, caritatevoli, nei confronti del giovane, a condividerne ricordi ed esistenza, ma il carisma, la violenza, l’autorevolezza del vecchio è spauracchio sufficiente a farli desistere, loro malgrado.
Quel nemico, in ultima analisi, Giona deve affrontare, una volta messo alle strette proprio dal vecchio, dinanzi all’ultima insana, sporca, abietta, estrema scelta.
Per farlo, e per vincere, per ucciderlo e liberarsene e liberare il paese intero, per riconquistare sé stesso e la propria coscienza sepolta nel dimenticatoio, deve compiere un atto coraggioso e rivoluzionario insieme, un percorso di crescita e di consapevolezza.
Deve cioè terminare di rifugiarsi una volta per sempre nell’oblio soporifero della quotidianità rituale, assurda e brutale, come può essere ad esempio il forzare le dita forti nel piegare rami intrecciati a costruire gerle inutili, destinate a trasportare il vuoto.
Deve lasciare il rifugio sicuro del ventre della balena, farsi vomitare sulla riva dal grosso pesce, un’interiorità che gli è stata utile per troppo tempo, per anni, per ottenebrargli i ricordi, allorché intende che sono proprio questi, da tempo rimossi, i giusti terapeutici mentori per il riappropriarsi della propria esistenza.
Perciò la rinascita di Giona, e la sua liberazione, sorprende ed è stupefacente insieme
Il rifugiarsi di Giona nel ventre della balena, infine, non è stato per nulla un’evasione da una realtà difficile, una via di fuga, un escamotage per venir meno alle proprie responsabilità, tutt’altro, è stata essa stessa una scelta, ma una scelta di martirio.
A un bambino però, non gli si può accollare un martirio.
Un bambino ha in sé la saggezza innata del Bene, prima che gli adulti si coalizzino nell'estirpargliela.
Un bambino non martirizza, non fa male, non può, per definizione stessa, un bambino aiuta, specie se gli è espressamente richiesto.
Gli adulti, che bambini non sono più, questo non lo capiscono, lo hanno rimosso dai loro ricordi, non si fanno scrupoli di versare sofferenza anche nell’animo di un innocente.
Aiutare però stanca; e allora il giovane anela il riposo, il riparo; dopotutto un giovane altro non è che un seme, e i semi riposano al meglio sotto la neve, durante l’inverno, l’inverno di Giona.
In attesa della primavera, quando dal terreno, liberato dalla neve, puoi raccogliere sassolini.
E lanciarli felicemente in alto, finalmente.