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Un delitto mascherato da errore ospedaliero.
E’ l’undicesimo giallo con protagonista Rocco Schiavone, il poliziotto fuori dai consueti schemi tradizionali che ha conquistato i lettori romanzo dopo romanzo, con i suoi modi spicci, poco attenti al potere ed alle forme ma decisivi nel risolvere casi difficili. Antonio Manzini ha fatto centro anche questa volta, ambientando gran parte dello svolgimento delle vicende in un reparto ospedaliero. Un reparto di chirurgia in cui il protagonista è ricoverato in seguito ad un intervento per nefrectomia: un maledetto proiettile infatti gli ha leso irreparabilmente un rene durante una sparatoria (sapremo anche come è andata realmente, ma è un secondario colpo di scena che l’autore riserverà alla fine dell’opera). Si dà il caso che un illustre paziente sia contemporaneamente ricoverato nel medesimo ospedale e che, durante un analogo intervento, ci lasci le penne in seguito ad una emorragia massiva e ad una trasfusione di sangue: si scoprirà anche che i gruppi sanguigni del ricevente e del donatore non corrispondono, sembra chiaramente un errore trasfusionale a causa del quale primario chirurgo e ospedale vengono colpevolizzati con la prospettiva di un cospicuo risarcimento per la famiglia. Ma il nostro sagace poliziotto intuisce che c’è qualcosa di poco chiaro e, sotto traccia e da ricoverato, comincia ad indagare. Gira nottetempo per i vari reparti, scende negli scantinati, segue furtivamente i tecnici responsabili delle sacche di sangue, conosce medici ed infermieri, riesce perfino ad uscire dall’ospedale per organizzare indagini esterne con i colleghi della questura, naturalmente con il permesso del primario chirurgo con il quale instaura un buon rapporto collaborativo. Ha un gran fiuto il nostro beneamato Schiavone: in ospedale ci sono anche personaggi sfuggenti, ambigui, soggetti pronti a tradire la professione per denaro, per non parlare degli altezzosi parenti dell’illustre deceduto. Alla fine verrà a galla la verità: l’errore trasfusionale sarà solo la conseguenza di ben altro errore, questa volta astutamente messo in atto durante l’intervento. Emerge comunque a tutto tondo la figura di questo straordinario poliziotto, ben delineato dall’autore in tutte le sue sfaccettature: Manzini fa di Rocco Schiavone quasi una “sua” creatura, creando una figura di poliziotto unica, fuori dagli schemi tradizionali, un poliziotto che manda a quel paese (per usare un eufemismo) chi si mette di traverso e intralcia il suo personale percorso investigativo ma capace anche di grandi gesti di umanità nei confronti di ricoverati più fragili, difendendoli contro evidenti soprusi e addirittura dividendo con loro i pasti che, di nascosto, si fa portare dall’esterno. Ma non c’è solo Schiavone: ben tratteggiate sono anche alcune figure di collaboratori, soprattutto quella del suo vice Scipioni le cui avventure boccaccesche ( è l’amante di tre donne, due sorelle ed una cugina, all’insaputa l’una dell’altra) costituiscono un contorno vivace ed esilarante. Il romanzo è scritto bene e con la consueta eleganza, lo stile, molto accurato anche nelle storie di contorno, fa capire che Manzini, oltre che scrittore, è anche molto abile come regista e sceneggiatore. Si attendono nuove indagini di Rocco Schiavone, anche perché con un rene solo si può vivere bene e a lungo.