Dettagli Recensione
Finiamo in bellezza
“Il pianto dell’alba” è forse il romanzo più realistico che sia stato scritto da Maurizio De Giovanni.
La saga di Luigi Alfredo Ricciardi, commissario della squadra omicidi in servizio nella Regia Questura della Napoli dell’epoca fascista, termina esattamente come doveva terminare.
Perché il barone di Malomonte, come altrimenti conosciuto, non è che una lente d’ingrandimento, con cui lo scrittore napoletano scruta i fatti grigi e le emozioni nefaste della sua, della nostra Napoli, in un passato neanche tanto lontano. Modo, Maione, Bambinella, Livia, Falco sono esattamente non i personaggi di un romanzo, ma i protagonisti effettivi di un preciso scorcio d’epoca, caratterizzato da un clima funebre e funereo. Il “fatto” non è un fenomeno paranormale, in sé e per sé, è l'emblema dell’estrema, direi parossistica, sensibilità d’animo del nostro poliziotto, egli vede quello che gli altri, magari anche per l’ottusa propaganda del regime, non vedono: gli ultimi istanti delle morti violente, che sono poi gli ultimi singulti di un’era e di una società violenta, reazionaria, falsa, ipocrita, demagogica, che sfocerà a breve in ben altri lutti.
Tutte le cose belle della vita terminano, è un dato di fatto: ma hanno di bello anche il fatto che sono ripetibili, la vita si rinnova sempre. Perciò il capitolo finale non è struggente, è bensì un canto di speranza: assume la forma di un pianto, certo, ma la voce di una bambina è sempre un canto. Che echeggia non più nel buio del fascismo, ma nella luce dell’alba.