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Fiori d'arancio
Con “Nozze” torna in libreria, per la gioia degli affezionati lettori, la squadra di poliziotti in servizio in un Commissariato di Polizia di Napoli, detti i “Bastardi di Pizzofalcone”, protagonisti seriali di alcuni fortunati romanzi dello scrittore napoletano Maurizio De Giovanni, da cui sono state tratte anche alcune fiction RAI di grande successo.
Questi poliziotti sono così indicati perché si trattava, al principio della loro destinazione in servizio nel quartiere omonimo, dei peggiori elementi, per non dire gli scarti, dei vari commissariati di polizia sparsi per la città. Soggetti caduti in disgrazia, nelle sedi di provenienza, in apparenza per motivi disciplinari, ma in realtà vittime essi stessi per primi, poiché il loro personale umanissimo senso della giustizia li ha portati a strafare, in un modo o nell’altro, nell’esercizio delle loro funzioni, e quindi considerati dai superiori più come seccature ingombranti anziché valide risorse dell’organico.
Non sono cattivi poliziotti, tutt’altro, sono solo scomodi, è preferibile sbarazzarsene, in quanto patate bollenti da maneggiare con le molle, inclusi in una lista nera di indesiderati anche se ingiustamente. Elementi ideali da destinare come sostituti dei titolari in un commissariato fresco di scandalo, e prossimo alla chiusura, data la corruzione dei colleghi in ruolo, coinvolti in giri di droga, e quindi indicati come “bastardi” dai residenti del quartiere.
Serve quindi sostituire pro tempore i bastardi corrotti con altri poliziotti raffazzonati, comunque cattivi soggetti e quindi del pari imbastarditi, intanto che si completi l’iter burocratico della chiusura o accorpamento con altre sedi diversamente dislocate in città della struttura di quartiere.
Senonché la squadra delle presunte zavorre inutili e ingombranti si dimostra invece ben presto, già all’inizio del suo insediamento, un tutt’uno solido, solidale, splendidamente attivo e operativo sul territorio con la massima efficienza, efficacia e tempestività, ognuno di loro spinto dal ritrovato spirito di corpo, dall’orgoglio di lavorare fianco a fianco ai colleghi senza più il marchio dei reietti o cattivi soggetti, e grazie alla ritrovata fiducia nei propri mezzi la squadra così coesa tira fuori il meglio di sé.
Così “i bastardi di Pizzofalcone” risolvono brillantemente alcuni casi di difficile soluzione, costringendo quindi le autorità a rivalutare sia il commissariato che i suoi effettivi, tutti, nessuno escluso, anche ampliando la squadra con nuovi arrivi. Soprattutto i residenti riconsiderano gli agenti come figura intrinseca e rassicurante sul territorio, a cui affidarsi con fiducia e riconoscenza.
In quest’ultimo romanzo della serie, i nostri indagano su un omicidio alquanto insolito sia per la vittima coinvolta sia per le modalità di esecuzione dell’odioso reato, ma anche per l’apparente mancanza di un movente sufficientemente valido da spinger qualcuno a commettere un delitto tanto grave. La vittima è infatti una giovane, e ricchissima ereditiera, figlia unica di una coppia della Napoli facoltosa, omicidio avvenuto proprio il giorno prima del suo matrimonio, il giorno più bello della vita per qualsiasi ragazza al mondo.
Una giovane bellissima, ricchissima, colta, educata, Francesca è una ragazza solare e vitale, stupenda, frizzante, amata e riverita da tutti, senza un neo, una pecca, la classica brava ragazza orgoglio dei propri genitori. Anche il futuro marito è un bravo ragazzo, anche se di famiglia non proprio irreprensibile: si tratta infatti del figliolo di uno dei più potenti, e spietati, capi della malavita organizzata della città. Forse solo questo potrebbe essere un motivo valido a giustificare il delitto, una forma di vendetta trasversale, ma il futuro sposo è quello che si dice un giovane pulito e perbene, fuoriuscito fin dall’inizio dagli affari loschi della famiglia, un uomo che ha studiato proficuamente e si è formato professionalmente all’estero, rifacendosi un’esistenza cristallina.
Senza ombra alcuna di sospetto o di coinvolgimento negli affari loschi della famiglia, nemmeno in altra forma perfettamente legale, come oramai d’uso nella malavita, da colletto bianco impiegato nel riciclaggio dei capitali di delittuosa provenienza, nulla di tutto ciò, niente di neanche lontanamente illecito. Il giovane ha tagliato decisamente qualsiasi legame con ogni modus vivendi anche solo superficiale con gli affari di famiglia, con quel mondo ai margini o fuori dalla società civile.
E a questo sembrano pervenire sia le indagini sul campo della squadra dei bastardi, che quella della locale divisione antimafia, con cui agiscono in competizione, sia le indagini private, di pari se non superiore efficacia, svolte dallo stesso boss malavitoso, anch’egli desideroso di apprendere la verità e tuttavia anche lui propenso ad escludere un movente che coinvolga il figliolo solo per il nome che si ritrova. Ma intanto la giovane vittima è stata assassinata spietatamente, un’esecuzione fredda e predeterminata, con una sola coltellata al cuore, ritrovata completamente nuda e supina in un sito assai inconsueto. Si era infatti recata la sera prima del matrimonio in una grotta sul mare, un posto romantico e solitario dove sono soliti appartarsi gli innamorati, recando con sé il proprio abito di sposa, spogliandosi e sistemando in un angolo ordinatamente gli abiti indossati, senza alcun segno di violenza o di costrizione. L’omicidio viene denunciato proprio grazie all’abito nuziale, scagliato in acqua come per sfregio dall’assassino, poiché il classico completo bianco tradizionale da sposa viene avvistato galleggiare sul tratto di mare adiacente la grotta dell’omicidio, quasi il volteggiare di un fantasma bianco sul mare.
Un giallo, quindi, ma un mistero sui generis, come lo sono tutti i libri di de Giovanni, non solo quelli più noti della serie dei “Bastardi”, o quelli aventi a protagonista l’altrettanto fortunato personaggio creato dallo scrittore napoletano, il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, della Regia Questura della Napoli fascista.
De Giovanni non scrive gialli, anche se ne conosce la struttura e sa dipanarla al lettore, egli offre ben altro a chi legge, e lo fa da maestro, racconta cioè storie insigne di ordinaria umanità.
Non narra enigmi, misteri, intrighi, in sé e per sé, ma li prende a pretesto, rappresentano una scusa, l’innesco, l’input, con cui egli ci racconta, e ci descrive altro, il cuore delle persone.
Maurizio de Giovanni ci parla infatti di uomini, di donne, e delle cose, delle bellezze e delle storture, che dagli uomini e dalle donne vengono.
Ci parla di polizia, di commissari, di ispettori, di agenti, di sostituti procuratori, di medici legali, descrive con professionalità metodi e tecniche investigative, ci illustra le procedure di indagini con lealtà e rigore scientifico, ma non dimentica mai che ognuno dei personaggi è una persona, prima di essere un poliziotto, ciascuno di loro è diverso e fine a se stesso, ha un suo vissuto, un suo bagaglio emozionale, una sua realtà umana unica e inimitabile che in un modo o nell’altro trascende e trasfonde nelle sue azioni professionali. Non è un caso, è un effetto voluto; i personaggi fanno squadra, e si completano, ognuno di loro ha una sua storia, differente ma ugualmente interessante, che si intreccia in qualche misura sulla Storia su cui indagano: in questo modo, con questo espediente, De Giovanni ci racconta più storie in una. Essendo un appassionato affabulatore moderno, lo scrittore desidera dire, dirci, raccontare, emozionare, desidera spendersi in quello che più lo gratifica nella vita, in quello che ogni autore veramente degno di questo nome ama fare: scrivere.
E scrivendo De Giovanni ci parla delle persone che lui stesso incontra nel suo vivere quotidiano, che conosce, che sa, che vede, di cui sente dire, di cui ha letto, che vivono in una città che è un caleidoscopio di caratteri, di generi, di fatti, di avvenimenti che gli offre quindi una miniera inesauribile di personaggi, idee e avvenimenti, tutta la città ed il suo variegato campionario umano assurge a materia da considerare, valutare, sviscerare nelle sue verità, un capitale enorme di varie, variegata, e emozionantissima umanità.
Un’umanità eccezionale, che solo una città di eccezionale umanità come Napoli può offrire, con tutte le sue contraddizioni, miserie, commozioni, sensibilità, delicatezza, empatia ineguagliabile.
Anche “Nozze” non fa eccezione, o forse sì, perché in “Nozze” protagoniste assolute sono le donne.
Donna è una vittima, donne le poliziotte uniche ed unite ad individuare la verità dei fatti; donne sono le intuizioni che inducono a pensare che la realtà, spesso quella ideale, non è mai perfetta come vuole apparire; donne o femminili o femminine sono i particolari, i risvolti, i dettagli di tutta la storia, incentrata proprio nel momento più bello, e intrinsecamente femminile, della vita di una donna, quello in cui convola a nozze con la persona amata. Giunge al suo apice, in quel giorno fatidico, il tocco tutto assolutamente e squisitamente femminile di ogni donna nell’industriarsi nei preparativi, nell’ individuare la data e la chiesa adatte, nell’addobbo floreale, nella scelta dell’abito nuziale, che deve rispondere a precise caratteristiche per coniugare al meglio al presente antiche tradizioni tramandate da generazioni di donne, nel viaggio di nozze, nel ricevimento, nelle bomboniere, nel mazzolino di fiori che costituisce il bouquet da lanciare poi esclusivamente alle donne dopo la cerimonia.
Dettagli femminili che solo le donne possono approntare, hanno occhio per queste cose, sanno letteralmente sposare tradizione e tempi moderni, hanno attenzione per i dettagli più minuti, notano subito ogni minima discrepanza, che nessun uomo si degnerebbe invece di considerare, oltre che un’occhiata superficiale. Solo le donne intendono come nessun uomo potrebbe fare che una promessa sposa non oserebbe mai correre il minimo rischio di sgualcire il proprio abito nuziale, e un abito del tradizionalissimo color bianco per di più, il giorno prima della data cruciale, recandolo con sé in un luogo umido e sporco come una grotta sul mare; se lo fa è perché è una donna, prima ancora di essere una promessa sposa, e solo un’altra donna sa capirlo, intenderne il motivo supremo.
Le nozze, dopotutto, e in definitiva, sono l’apoteosi, e il capolinea dell’amore: e Maurizio de Giovanni questo fa, nei suoi libri parla di amore, ogni specie di amore reale, senza alcuna discrepanza.
Magari, al lettore maschile, individuare l’assassino può apparire facile già al principio del romanzo, il romanzo stesso sembra non essere al livello di quelli precedenti dello stesso autore, un gradino sotto per complessità d’indagine e individuazione del reo, ma è una illusione, una pia illusione tutta maschile: serve l’occhio di una donna per intenderlo, dopotutto il termine “nozze” è di genere femminile.