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Le due facce della medaglia
Immaginate una classe dell’ultimo anno di un liceo classico, una classe di maturandi di una scuola d’élite, uno degli istituti più antichi e prestigiosi della città, frequentato perciò dai rampolli della cittadinanza bene e socialmente altolocata, cosa vi viene istintivamente in mente?
Come ve li figurate?
Certamente come un gruppo di baldi diciottenni o giù di lì, ragazzi nel pieno della vita, giovani più o meno spensierati.
Belli, aitanti, sportivi, o forse brutti, sciatti e banali, che importa, hanno dalla loro la bellezza della gioventù, la sfrontatezza, l’arroganza, l’ingenuità e l’audacia tipica degli adolescenti, si affacciano alla vita più o meno carichi e vitali, entusiasti, o solo disperatamente problematici, come solo i giovani di quell'età sanno essere.
Una classe piccola, meno di una quindicina di alunni, e quindi per definizione stessa si presume più unita, affiatata, maggiormente seguita dallo staff docente proprio per il numero alquanto esiguo dei componenti.
Non solo; questi studenti si mostrano a tutti gli effetti di straordinaria preparazione culturale, assai superiore alla media, sono allievi, infatti, preparatissimi nelle materie classiche, delle autentiche perle, il fiore all'occhiello dei loro compiaciuti insegnanti: addirittura, conversano tra loro in latino. Da non crederci! Non nell'assai più facile inglese o in un’altra lingua straniera: proprio il latino, la lingua di Cicerone, la lingua morta come si suol dire.
Fanno naturalmente gruppo unico quindi, un gruppo cementato inestricabilmente proprio da questa passione per il latino, per la storia e i miti dell’antica Grecia tramandataci dai maggiori latinisti dell’antichità.
Sennonché, questo gruppo di eccellenze, proprio un’isola felice non deve essere, se a distanza di oltre dieci anni, le forze dell’ordine, un po’ casualmente, si accorgono che i due terzi dei componenti della classe sono, per macabra coincidenza, passati a miglior vita.
Alcuni in maniera simil incidentale, altri per sospette cadute dalla finestra durante una gita scolastica, uno sparisce nel nulla, probabilmente contribuisce a non sollevare sospetto alcuno anche la contemporanea coincidenza di decessi naturali per malattie maligne preesistenti o incaute overdose di stupefacenti.
Ma il decesso/scomparsa di nove alunni su quattordici, tutti con stupefacente cadenza regolare il 21 febbraio di ogni anno, è una eventualità sbalorditiva, statisticamente impossibile a verificarsi, tanto da indurre senza indugio la polizia a sospettare dell’esistenza di un assassinio seriale.
In estrema sintesi, questa la trama di “Musica sull'abisso” di Marilù Oliva, un romanzo che segue al fortunato titolo precedente della scrittrice di Bologna “Le spose sepolte”, e che ci presenta la stessa protagonista dalla parte dei “buoni”, l’ispettrice di polizia Micol Medici.
Una donna straordinaria nella sua semplicità, una comune ragazza d’oggi divisa tra il lavoro, più difficile che altrove per una donna, in un ambiente alquanto becero maschilista come quello nella squadra investigativa della Questura, e in più con una madre tanto stravagante quanto asfissiante, senza contare un nuovo amore dal comportamento lievemente insolito, compulsivo sui generis, infine le uscite con le amiche…e ultima, ma non per ultima, l’indagine sul sospetto, presunto e misterioso serial killer, che se esiste deve avere una motivazione ben forte, per essersi speso anni nell'ideazione e messa in atto di omicidi quasi perfetti.
Un romanzo, questo di Marilù Oliva, devo dire curato e molto ben scritto, che non è un giallo o un thriller sic et simpliciter.
Direi che è un racconto d’amore, amore senza limite, come solo certi amori sanno essere.
Un libro scritto da un’insegnante, e si vede, e una docente che adora i classici, ama il latino, e ci mostra, sa mostrarci, il fascino, la seduzione, la malia insita nella cosiddetta lingua morta del passato e nei miti dell’antichità.
Un romanzo scritto da una donna, per le donne, dalla parte delle donne: che dimostra ancora la sussistenza di pregiudizi e preconcetti ancora ben presenti nei confronti del cosiddetto sesso debole. Che sarà debole forse per struttura fisica, ma possiede l’acume della sensibilità, l’attenzione per il particolare, l’empatia per l’altro, caratteristiche tutte femminili di cui si serve la pragmatica e femminile Micol, magari attraverso la proiezione onirica del suo subconscio, per sciogliere l’enigma.
Donne protagoniste, quindi, centrali nel romanzo, nel bene e nel male.
Ma Marilù Oliva ci fa apprezzare anche altro, la musicalità, la sinfonia, la melodia insita negli anni della nostra beata gioventù.
Una musica che spesso, troppo spesso, si contrappone alla solitudine, al senso di abbandono, d’insicurezza che attanaglia i nostri giovani quando non li seguiamo, quando li abbandoniamo a se stessi, quando deleghiamo agli agi, ai lussi, alla tecnologia di sostituirci nei nostri doveri genitoriali di educazione, presenza, sostegno e supporto alla loro crescita, di provvedere alle loro crisi d’identità personale, per evitare che cadano preda dei mali conseguenziali, la depressione, il bullismo, la droga.
Marilù Oliva di un’epoca della nostra esistenza ci mostra ambedue le facce, ma è la stessa canzone, l'identica musica.
Sta a noi adulti fare in modo che sia una musica melodiosa, non una lugubre litania che trascini in un abisso, in un’autentica discesa negli inferi.