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Dodici rose, perché?
Dodici rose a Settembre: il romanzo inaugura una nuova serie firmata da Maurizio de Giovanni, che affianca ai romanzi interpretati da Ricciardi e dai Bastardi di Pizzofalcone quelli con Gelsomina Settembre detta Mina, assistente sociale presso lo scalcinato Consultorio dei Quartieri Spagnoli.
Reduce dalla separazione dal marito Claudio, la procace protagonista è alle prese con un caso di violenza domestica segnalato da una minorenne. Mina non si dà pace sino a che non trova una soluzione rocambolesca e scenografica per togliere la malcapitata moglie dalle grinfie di un marito manesco e delinquente. Nell’impresa Mina è coadiuvata dal bellissimo ginecologo Domenico Gammardella (“Ricordandole il Redford de Il candidato, uno dei suoi film preferiti”) e dal portiere Rudy Trapanese.
Sulla vicenda s’innesta una serie di omicidi, che sono affidati al magistrato De Carolis e che colpiscono “un avvocato ricco e stakanovista, una casalinga sfatta e malinconica, un musicista con un grande futuro dietro le spalle, un scenografo gay e di successo”. I delitti sono accomunati da un particolare (“E faccia pure analizzare quelle rose: non c’entrano nulla col resto dell’arredamento, voglio sapere che significano”) non facile da decifrare (“Perché dodici? ... I mesi dell’anno? … Dodici erano gli apostoli, dodici i cavalieri della dannata tavola rotonda, dodici gli dei maggiori dell’Olimpo. Ddici le fatiche d’Ercole, dodici i Titani…”), ma che conduce alla soluzione (“Non credeva alle sfide, ma solo alla volontà di firmare in un modo molto originale la propria opera. E chi firma qualcosa, lo lo fa perché si conosca il suo nome”).
Il romanzo si affida alle caricature individuali (“Un uomo che aveva un potentissimo afrodisiaco incorporato nei lineamenti”) e collettive (“Signori’, rispondete, sentite a me. Se no vi richiamano in continuazione, con queste offerte commerciali. Io dico solo vaffanculo, e chiudo: vi assicuro che imparano subito la lezione”) dei personaggi e ad alcuni tormentoni-ritornello (i film interpretati da Robert Redford): divertenti sì, ma iperbolici e talvolta forzati.
Giudizio finale – citazione, tratta da un romanzo dal quale De Giovanni mutua lo schema dell’omicidio-vendetta: “In qualunque momento della nostra vita abbiamo la morte alle spalle” (Agatha Christie, Dieci piccoli indiani).
Bruno Elpis
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