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Riflessioni sulla precarietà della vita.
Racconto lungo o romanzo breve, fatto sta che questo “Documenti, prego” si presta a svariate interpretazioni, anche ascoltando il parere di amici e conoscenti che l’hanno letto e si chiedono (mi chiedono) spiegazioni e significati reconditi. Certo è che Vitali ha sbrigliato la sua fantasia, abbandonando (ed è per due volte di seguito, dopo il più convincente “Sotto un cielo sempre azzurro”) temporaneamente i lidi di Bellano. Ed è altrettanto certo che il protagonista del libro, responsabile del settore alimentare conserviero della sua ditta, in viaggio d’affari con due colleghi, va incontro ad una esperienza da incubo, bloccato da un’imprecisata pattuglia per un controllo dei documenti e portato via con la scusa di un “semplice controllo”. L’interrogatorio è cortese, per alcuni versi disarmante, il poveretto non sa spiegare i motivi per cui la sua patente è scaduta, viene isolato in una cella ma riesce ad allontanarsi con una scusa…. Rientra a casa, felice di riscoprire gli affetti familiari ma ecco (realtà o sogno?) un’altra fermata, documenti, controlli, arresto, isolamento in una cella in attesa di una confessione.. Un oscillare surreale tra la realtà (o sogno?) di una vita familiare apparentemente felice, una moglie che dorme serenamente accanto a lui, un figlio che colloquia con le foglie cadute dagli alberi, e il sogno (o realtà?) di malaugurati incontri con presunti tutori dell’ordine che procedono a controlli, accusando il malcapitato di colpe imprecisate. I personaggi sono tratteggiati magistralmente. Intanto il protagonista, incredulo di quanto gli sta capitando, smarrito e quasi rassegnato ad un beffardo destino, poi il rappresentante della legge, un “baffetto” garbato ma inflessibile, cortese ma deciso nel far rispettare assurde regole burocratiche, e poi ancora un collega di lavoro esperto nel raccontare in continuazione barzellette e soprattutto nel godersi la vita, la moglie del protagonista, una donna evanescente, quasi a sottolineare l’atmosfera onirica che aleggia sul racconto, e infine quello strano figlio che parla (corrisposto?) il linguaggio delle foglie che cadono dagli alberi. Il tutto basta e avanza per far riemergere nella mia memoria, quasi istintivamente, due capolavori del passato, un libro e un film. Il libro è “Il processo” di Kafka, in cui il protagonista, Joseph, viene arrestato e perseguitato da un’autorità imprecisata e remota, le cui sentenze vengono accettate passivamente, quasi a significare l’ineluttabilità di una giustizia irrazionale e misteriosa. Il film è un capolavoro di Ettore Scola, “La più bella serata della mia vita”, del 1972, dove un grande Alberto Sordi viene ospitato nel castello di Tures presso Bolzano, sottoposto, come altri ospiti, ad un processo farsa e condannato: il giorno dopo, avrà un incidente mortale con la sua fiammante Maserati precipitando in un burrone.
Se qualche lettore ricorderà il libro e il film, troverà atmosfere sospese tra sogno e realtà, come nel breve romanzo di Vitali. Romanzo che fa comunque riflettere sulla burocrazia di una giustizia cieca e imperscrutabile e, soprattutto, sulla fragilità e precarietà della vita.