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Il fagianino e il fagiano
«È destino che questo caso non si chiarisca… È destino dell’uomo non poter capire tutto, sapere tutto… magari molto, ma non tutto o non saremmo uomini, ma angeli!»
È il 3 luglio 1936 quando Ettore Becchi, tranviere classico da operetta, che si stava recando al deposito per iniziare il turno con la sua fedele Bianchi modello S-bis nera, con ruote del ’28 e freni a bacchetta, con il mero intento di dar libertà alla propria piena vescica, decide di fermarsi sul viale della Regina, all’altezza del ponte alla Vittoria, per usufruire del vespasiano sottostante. Ed è proprio mentre è in procinto di liberarsi dal fardello che si porta dietro che nota un qualche cosa di inusuale nel luogo: una scarpa di donna. Una scarpa che appartiene niente meno che al corpo che, inerte e ormai già privo di vita, giace bocconi nel vespasiano gemello, con le braccia distese lungo il corpo, le spalle insanguinate. Lo stesso elegante vestito indossato dalla fanciulla sollevatosi nella caduta le aveva lasciato le gambe bianche scoperte e in vista. Alcune mosche le ronzano intorno posandosi su quella pelle diafana e indifesa. Rapida è la chiamata alla polizia tanto quanto il sopraggiungere delle forze dell’ordine capitanate da Vitaliano Draghi e seguite dal Dottor Calligaris che, con il suo occhio clinico, vegliardo e da abile vecchio marpione, subito si rese conto dell’identità della vittima. Si tratta nientemeno che di Claire, all’anagrafe Renata Pinotti, torinese d’origine, artista di teatro da anni, infine cabarettista, emiliana d’origine e trasferitasi successivamente a Roma dove di poi aveva incontrato e conosciuto il senatore del regno Adelmo De Vincenti Bistacchi, uno dei pezzi grossi del partito, presidente della commissione per la polizia politica, vicinissimo a sua eccellenza il Duce e al capo della polizia Bocchini, con il quale convolava a nozze. A concludere i dettagli della scena del crimine, un misterioso numero in sequenza, un 666 o 999, riportato nella parte bassa della schiena con una scritta ad inchiostro della donna, priva di biancheria, e per qualche misterioso motivo. Che si tratti di un rito satanico? Che l’avvenente donna sia finita nelle grinfie di qualche setta?
Per risolvere il mistero, Draghi si rende conto di aver bisogno di un aiuto. Perché, «se vuoi catturare una volpe, devi pensare come una volpe. Se vuoi un merlo devi pensare come un merlo». Quale miglior aiuto allora se non quello del suo fedele mentore e amico Pietro Bensi? Seppur di origine contadina e fattore di professione, quest’ultimo, al servizio presso il padre di Vitaliano, fattore per il Conte, è colui che meglio conosce gli uomini, che meglio li sa giudicare. Manifestatamente antifascista, Bensi è un uomo dall’indole retta e decisa, un uomo di valore e con tanti principi e con un gran spirito d’osservazione. Intelligente e acuto, sa rivestire i panni del suo ruolo laddove necessario per poi brillare con perle di saggezza e grandi intuizioni di fronte alla necessità. Un fatto occorso quindici anni prima fa ben ritenere il poliziotto delle capacità del contadino tanto da desiderare in ogni modo di averlo in quadra. Ed è ciò che accade. Con un braccio offeso, quello sinistro ma che all’occorrenza innanzi al saluto fascista diventa tranquillamente e pacificamente il destro, in guerra, nelle trincee, Pietro rivestirà un ruolo fondamentale nelle indagini che si verranno a dipanare e che porteranno alla risoluzione di un enigma affatto scontato e in cui le carte si mescolano e rimescolano con grande abilità.
Con “Trappola per volpi” Fabrizio Silei fa il suo esordio nella letteratura per adulti con un giallo dal giusto ritmo narrativo e ben cadenzato. Ogni atto, fatto, dettaglio che viene riportato ben mixa realtà storica con finzione e riesce a catturare il lettore che è incuriosito dalle vicende e spinto ad andare sempre più avanti. Nello scorrimento ho ricordato un’impostazione molto simile a quella dei grandi giallisti italiani, più o meno recenti. Le peculiarità sono inoltre le medesime che possono riscontrarsi in autori quali De Giovanni, Vichi, per alcune sfumature Manzini e altri affini, pertanto, se avete amato questi scrittori, certamente anche Silei sarà di vostro gradimento e non mancherà di conquistarvi con quello che è il primo capitolo di un’interessante futura serie. Non solo. Il romanziere, tra una vicissitudine e l’altra, riesce a coinvolgere il lettore anche su tematiche di grande attualità che vanno dall’importanza dell’istruzione, al pensiero libero, alla consapevolezza della presenza di un regime totalitario.
Unica pecca che ho ravvisato, per mio modesto parere, è una certa lentezza nella parte centrale che tende ad allungarsi un po’ troppo quando lo stesso risultato si sarebbe potuto comunque raggiungere con qualche taglio in più. Ma questa è una questione di mero gusto personale.
Un buon giallo che risulta essere adatto tanto ad un pubblico più avvezzo che meno al filone.
«Tutto passa. Per finire finirà, non so se ci saremo per vederlo però. Ora tocca a noi fare la nostra parte, poi ai nostri figli e nipoti, se riusciremo, toccherà difendere la libertà che porteremo loro in dono. Ma oggi è un giorno triste, e in me vacilla la speranza.»
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Quando ho letto il libro, quest'estate, mi è piaciuto com'è delineato il rapporto tra il "dottore" e il contadino più che la storia in sé... che a mio parere sconta un po' di "sovrabbondanza" - e dunque lentezza - anche nella parte finale...
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