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Un viaggio dentro noi stessi
Scrivo questa recensione a “caldo” perché ho appena finito il libro e le sensazioni che provo sono così forti che necessito di scriverne nell’immediato.
Tutto inizia in un regno di nebbia e ombra. Siamo su una montagna fatta di desolazione, di poche anime e di una memoria che non c’è: quella di Giona. Quest’ultimo è un ragazzo di quindici anni che vive con Alvise, il nonno che adotta un metodo di insegnamento molto severo e fatto di assenza di affetto.
Il protagonista è costretto, a causa di una serie di avvenimenti, alla fuga e da qui inizia una vera e propria caccia tra preda e cacciatore, tra cacciatore e preda, una caccia fatta e scandita da un ritmo narrativo che accelera in modo esponenziale, che attanaglia, che impedisce a chi legge di staccarsi dalle pagine del componimento.
Il ritmo è serrato, i tempi sono perfettamente scanditi, gli eventi si susseguono in un mix di empatia e sensibilità in cui manca il fiato; il lettore perde il respiro. E poi, l’epilogo. Dove i tasselli del disegno trovano il loro posto, la loro collocazione. La certezza è solo presunta, mai concreta. L’opera giunge alla sua naturale conclusione e il conoscitore continua a restare nel paese, ad interrogarsi, a porsi domande. Perché il viaggio di Giona diventa un viaggio condiviso: ti prende per mano e ti conduce, ti prende per mano e ti obbliga a guardarti dentro, ad affrontare le tue paure.
A un romanzo con una forte carica emotiva e tematiche profonde e impeccabilmente trattate si aggiunge una penna precisa, minuziosa, raffinata e caratterizzata da un linguaggio erudito, forbito e prezioso. Tapparelli è semplicemente magnetico. Mai avrei pensato che questo potesse essere il suo primo lavoro, ma una cosa è certa: non vedo l’ora di rileggerlo. E spero di rileggerlo presto.
Non posso che consigliare la lettura di questo testo, un volume che ha tanto da offrire e tanto da lasciare.