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Ricciardi, in cauda venenum
Quando sembra che la vita abbia cominciato a sorridere al Commissario Ricciardi (ha finalmente coronato il suo sogno d’amore con Enrica che, adesso, è in stato di avanzata gravidanza), una notizia sconvolgente viene a turbare le sue giornate e rendere insonni le sue notti. Livia Vezzi, la bellissima soprano che si è da anni invaghita di lui, è stata trovata dalla sua cameriera in camera da letto, nuda, con una pistola in mano e al fianco del cadavere del tenente Manfred Von Brauchitsch. La scena sembra suggerire un delitto passionale, ma anche a una sommaria indagine la ricostruzione appare davvero grossolana, senza contare che Ricciardi non vede da nessuna parte l’aura del tenente tedesco che, chiaramente, è morto altrove. Purtroppo, prima di poter fare anche solo qualche rilievo, intervengono immediatamente quattro agenti della polizia politica che lo allontanano assieme ai suoi collaboratori. Comincia così una disperata corsa contro il tempo per ricostruire l’accaduto prima che Livia cada definitivamente vittima del complotto. Nel frattempo si avvicina il momento del parto per Enrica…
Ci sono molti modi concessi a un autore per interrompere il sodalizio che lo lega ai suoi personaggi abituali. Li si può lasciar cadere nell'oblio. Si può concedere loro un lieto fine che soddisfi le ansie che li agitano sin dall'inizio. Li si può togliere di mezzo in maniera brutale cioè, soprattutto nel caso dei polizieschi, li si fa morire in azione o, più banalmente di morte naturale. Si può introdurre un mutamento così radicale del contesto in cui operano da rendere inutile la continuazione della saga. Sì, i modi sono molti, ma nella fattispecie credo che De Giovanni abbia scelto uno dei peggiori, sostanzialmente privo di senso e soprattutto mancante di una vera giustificazione.
“Il pianto dell’alba” è un romanzo insolito all'interno della saga del “Commissario che vede i morti”. La storia, priva di un vero mistero poliziesco, giacché i colpevoli si intuiscono immediatamente, si dibatte tra la bagarre causata da un’OVRA pasticciona e in cortocircuito e lo scorrere normale della vita a casa Ricciardi. I personaggi di contorno, che normalmente conferiscono sale alla narrazione, vi appaiono solo come comparse dipinte sul fondale, a esclusione degli onnipresenti Maione e Modo. All'interno del solito, collaudato (e forse sin troppo sfruttato) meccanismo di tutti i romanzi che precedono, è stata adattata una vicenda sotto certi versi scarsamente credibile e, sotto altri, piuttosto povera. Anche le pagine poetiche, che usualmente fanno da intermezzo al filone narrativo principale, qui sembrano trapiantate a forza, giusto per rispettare la tradizione, ma senza eccessivo convincimento. L’indagine si conclude abbastanza svogliatamente senza nessun colpo di scena, senza alcuna sorpresa.
L’unica sorpresa (se vogliamo considerarla tale, giacché l’editore s’è sentito in diritto di quasi anticipare il finale nelle notizie riportate in quarta di copertina!) è riservata al capitolo conclusivo ove l’A., che evidentemente non vedeva l’ora di chiudere definitivamente con Ricciardi, introduce un avvenimento che dovrebbe (in teoria) impedire ulteriori tentazioni a proseguire la serie. Nei ringraziamenti De Giovanni si scusa con i lettori, ma verrebbe da chiedersi: perché? Se la trovata era funzionale alla storia (cosa di cui io dubito fortemente) non c’è nulla da farsi perdonare. Se non lo era, perché inserirla? Come detto sopra i modi per chiudere una serie sono infiniti come infinita è la fantasia dell’uomo. Un dei difetti che ho più deprecato nei romanzi di Arthur Clarke era il suo viziaccio di inserire un evento tragico in coda ai suoi romanzi (anche a quelli più piatti e incolore),per "vivacizzare la storia" senza che ve ne fosse la minima necessità e quando ormai questa era conclusa. Spiace vedere che l'ottimo De Giovanni abbia copiato questo stesso stratagemma.
In definitiva il romanzo non è disprezzabile, ma sicuramente inferiore alla media dei precedenti e rivela una certa stanchezza e mancanza di idee. È probabile che la vena inventiva dell’A. si stesse esaurendo e che, non avendo avuto il coraggio di far virare le vicende verso altre direzioni, egli abbia semplicemente deciso di chiudere la storia in modo brusco e spiccio con un coup de theatre all'incontrario. Peccato!
In ogni caso, ben vengano i tentativi di De Giovanni di cambiare filoni narrativi, sperando che in essi trovi nuove fonti di ispirazioni.