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Corsari!
Un gran bel romanzo storico, questo attraverso cui faccio ora conoscenza con la scrittura di Massimo Carlotto, autore padovano che, come avevo già scoperto, ha un rapporto particolare con la mia Sardegna. E, non a caso, i riferimenti diretti anche all'isola sarda non mancano tra le pagine di “Cristiani di Allah”, la cui ambientazione risulta, del resto, profondamente mediterranea.
Lo sfondo cronologico è quello della prima metà del XVI secolo, quando la poderosa flotta del cattolicissimo Carlo V tentò l'assedio di Algeri, tra le roccaforti corsare per eccellenza lungo le coste del Nordafrica, ma con esiti infine disastrosi. Erano loro, i corsari, a reggere di fatto le sorti della città, sebbene anche la terra algerina dipendesse formalmente dal sultano della lontana Costantinopoli che vi inviava a più riprese le proprie guarnigioni di temibili giannizzeri. All'epoca, Algeri era un'autentica città cosmopolita, in rapporto naturalmente al mondo di allora: tra le vie della sua medina si aggiravano musulmani, ebrei, cristiani e quella araba e berbera non erano che due delle tante componenti etniche della popolazione che vi risiedeva. I corsari stessi, per la maggior parte, erano rinnegati europei cristiani, convertiti all'Islam non certo per sincero sentimento religioso, bensì per puro opportunismo e brama di rapina poiché, com'è noto, essi assalivano e depredavano navi e centri abitati anzitutto costieri, facendo sempre un gran numero di schiavi che rendevano ingenti guadagni.
“E così avevamo raggiunto Algeri alla fine di un lunghissimo viaggio ed eravamo diventati corsari e rinnegati. Avevamo affrontato il rasoio del barbitonsore che ci aveva mozzato il prepuzio e rasato il capo […]. Di fronte al muftì avevamo dichiarato che “Non v'è altro Dio che Dio e Maometto è il profeta di Dio”. Eravamo stati rivestiti di abiti sontuosi e portati in giro per la città in sella a cavalli di grande bellezza perché tutti sapessero che altri due cristiani avevano trovato la vera fede.”, racconta Redouane, voce narrante del romanzo, il quale, già mercenario albanese tra le truppe dei lanzichenecchi, aveva preferito mettere la propria spada al servizio della causa corsara pur di poter vivere in libertà la relazione con il suo amante Othmane, ex lanzichenecco a sua volta. Quale destino, se non la morte, avrebbe potuto esserci altrimenti per “due mercenari sodomiti” nell'Europa cristiana ossessionata dai peccati della carne, ma insensibile ai massacri indiscriminati di uomini, donne e bambini? Ad Algeri, seppur terra d'Islam e nonostante l'esplicita condanna coranica, l'omosessualità trovava sorprendentemente ampia tolleranza da parte delle autorità religiose musulmane, ben consapevoli del fatto che quelle in tal senso fossero conversioni solo di comodo.
Ed è proprio questo ciò colpisce il lettore che non conosca quelle pagine di storia: l'inattesa tolleranza verso costumi sessuali che oggi, in quello stesso mondo, a seconda dei Paesi, possono mettere a rischio la vita di una persona, così come nei confronti di altre fedi religiose perfettamente inglobate all'interno delle cornici statuali islamiche. In verità, i grandi “laboratori” storici di convivenza pacifica e accettazione di certe diversità, di cui ora sembra essersi persa memoria, non sono mancati, prima fra tutti la Spagna araba.
La vicenda d'amore di Redouane e Othmane si consumerà tra spedizioni corsare, vendette e intrighi da taverna (già, nell'Algeri del Cinquecento esistevano pure regolari locali dove bere allegramente alcolici!), sino all'epilogo inevitabilmente drammatico che lascerà in bocca un sapore molto amaro, mentre i mercati di schiavi si facevano sempre più affollati e i rapporti fra le due sponde del Mediterraneo sempre più ambigui e incattiviti. Fin dalle prime battute, spicca l'originalità della trama, supportata con tutta evidenza da un'accurata ricerca storica da parte dell'autore. Molto bella e appassionante la scrittura di Carlotto, capace di tenere ben deste, fino all'ultima pagina, l'attenzione e la curiosità di chi legge. Un romanzo che, senza troppe edulcorazioni, ci parla sì di violenza e schiavitù, ma anche di tolleranza e, nonostante tutto, di un senso d'umanità che non può scomparire nemmeno tra le pieghe più buie della Storia.
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