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Rose e spine per Mina
Gelsomina Settembre, detta Mina, è una quarantenne divorziata, di professione assistente sociale. Svolge la sua attività scarsamente e saltuariamente retribuita in un Consultorio ASL sito in un palazzo fatiscente nei Quartieri Spagnoli di Napoli. La sua lotta quotidiana consiste nel sopravvivere alle GdM (giornate di merda), che il destino le ammannisce con sempre maggiore frequenza, e sopportare stoicamente i suoi due Problemi (entrambi con la P maiuscola). Il Primo, e più assillante, è rappresentato dalla madre Concetta. La donna, sin dalle prime ore del giorno, si aggira minacciosa per casa sulla sua sedia a rotelle - che, con cigolii vari, intona gli incipit di popolari canzoni (sempre diverse a seconda dell'oliatura ricevuta) – e non manca occasione per infamarla e sbatterle in faccia che sta invecchiando e che a quarant'anni suonati non ha ancora trovato un straccio d'uomo che la faccia vivere nell'ozio e nell'agio, per quando lei, pensionata invalida, non ci sarà più. Il Problema Due, invece, farebbe la felicità della maggioranza delle donne ma non sua. Mina, infatti, possiede un seno di esuberante, seducente, prorompente fastosità, del tutto ignaro dell’esistenza della forza di gravità. Ma lei lo umilia dentro maglioni informi o casacche monastiche perché le ripugna il fatto che gli uomini vogliano relazionarsi solo con quell'appendice fisica, che lei aborre, e non con la sua intelligenza superiore.
Le giornate al Consultorio, poi, sono sempre ugualmente frustranti, dovendosi confrontare con donne bisognose di aiuto che non vogliono o non possono essere aiutate e con utenti di entrambi i sessi che cercano solo di eludere leggi che non si possono trasgredire. Poi, saltuariamente, arrivano pure i guai grossi, quelli veri, quelli che non ti fanno dormire la notte, come quello che le rivela la piccola Flor. Ha solo undici anni, ma ormai la vita l’ha fatta maturare in fretta e con gli occhi sgranati dal terrore confessa a Mina che il padre, prima o poi, ucciderà di botte la madre, immigrata peruviana, che per lui non è altro che il comodo capro espiatorio su cui sfogare tutti i suoi improvvisi scatti d’ira cieca. Ma che fare, se la donna non vuole sporgere denuncia, a suo dire per difendere la bambina, e il padre è un delinquente d’alto bordo, forse collegato alla camorra e al traffico illecito di armi?
Il microcosmo di guai e insoddisfazioni di Mina, questa volta, poi, si incrocerà a sua insaputa con un problema ancora più preoccupante: a Napoli da qualche tempo sta operando un metodico serial killer che uccide le sue vittime con un colpo di Luger alla nuca, dopo aver fatto recapitar loro dodici rose rosse, gambo lungo. Apparentemente, non c'è alcun collegamento tra i morti, ma è evidente il nesso tra gli omicidi. Nessun altro indizio aiuta le indagini: i carabinieri e il Pubblico Ministero Dott. De Carolis brancolano nel buio, sinché…
Io ho un personale debito di gratitudine nei confronti di Mina: l’ho incrociata casualmente alcuni anni fa poiché era la protagonista di un racconto (“Un giorno di Settembre a Natale”) inserito in una delle numerose antologie stagionali di Sellerio (“Regalo di Natale in giallo”). È stato solo grazie a lei se ho conosciuto la splendida e immaginifica prosa di Maurizio De Giovanni di cui mi sono immediatamente, perdutamente innamorato.
Purtroppo, dopo quel breve incontro, Mina è scomparsa dai radar dei lettori affezionati dell’A. napoletano, apparendo solo in un raccontino ancor più breve sempre inserito in una miscellanea simile.
Quindi è con gioia che ho appreso l’uscita di questo romanzo interamente dedicato a lei.
Dopo una lunga attesa (inspiegabilmente il volumetto è uscito con oltre un anno di ritardo rispetto alla data inizialmente programmata), finalmente ho potuto leggere questa nuova opera di De Giovanni che si distingue nettamente dalle precedenti, note al grande pubblico.
Infatti, dove i romanzi del Commissario Ricciardi sono ammantati da una cappa di cupo pessimismo e di melanconica poesia, solo raramente diradata dai siparietti comici del Maresciallo Maione con Bambinella, i racconti di Mina sono tutti intessuti su una trama di ironia beffarda, di equilibrato umorismo, di graffiante causticità. In essi emerge più che altrove la filosofia dei napoletani per la quale anche le situazioni più drammatiche, in fondo, non sono mai cose serie e il lato comico della vicenda prima o poi emerge.
Poi, dove la serie dei “Bastardi di Pizzofalcone” appare come una fotografia a forti tinte dei mali di Napoli, le storie dell’assistente sociale pettoruta e dei personaggi che le gravitano attorno, invece, mostrano il lato più scanzonato della città partenopea, quello dove basta un po’ di inventiva, qualche sotterfugio al limite del lecito (o anche oltre questo limite, purché sempre sia a fin di bene) per risolvere “il guaio” di turno, per metterci “una pezza sopra”.
L’unico mio timore era che questo genere di storie non reggesse la distanza. Nel breve respiro di un racconto i vari tormentoni, le reiterate “uscite” di Concetta, del portiere-satiro Giovanni Trapanese, detto Rudy, del ginecologo Domenico Gammardella “chiamami Mimmo”, sono gradevoli e strappano più di un sorriso, quando non una piena risata liberatoria. Ma sulla lunghezza di un romanzo ce l’avrebbero fatta a non annoiare?
Sono stato felice di constatare che lo stile e l’abilità letteraria di De Giovanni abbiano vinto anche questa scommessa: “Dodici rose a Settembre” si rivela senza dubbio un buon libro, divertente, a momenti spassoso, pur trattando, coi dovuti rispetto ed empatia, le circostanze dolorose quando non addirittura tragiche che narra e senza rinunciare a qualche frase che fa meditare.
Forse l’A. ha insistito troppo su alcuni tormentoni, forse alcune battute dopo un po’ perdono di efficacia e freschezza, ma complessivamente l’opera è decisamente gradevole e leggibilissima. I personaggi sono ben delineati anche per chi li incontra per la prima volta e lo stile è (manco a dirlo) impeccabile, ma pure brioso e scorrevole.
Gli unici due nei li ho trovati nella trama più propriamente poliziesca. Infatti il killer delle rose rosse assomiglia decisamente troppo, come tipologia, modus operandi e moventi, a quello de “Il metodo del coccodrillo”. Ciò toglie ogni sorpresa al lettore affezionato al quale sembra di assistere ad un déjà-vu.
Inoltre uno dei pochi colpi di scena di tutto il romanzo va perduto per chi già conosce il personaggio di Mina e i suoi trascorsi familiari e, quindi, se lo aspetta sino dall'inizio. Ma va detto in tutta franchezza che questo romanzo non è un giallo in senso classico: l’indagine di carabinieri e PM fa solo da fondale alle tribolazioni della deliziosa assistente sociale. Lei si muove su un piano narrativo differente ed è su quello che va a posarsi la nostra attenzione. Solo nelle battute conclusive si trova a vivere, suo malgrado, una storia ancor più incasinata di quelle che è normalmente avvezza ad affrontare nelle sue consuete GdM, le quali, poi, alla fine, possono pure mostrare un lato non sgradevole e rivelarsi meno dM di quanto temuto.
In definitiva il romanzo è tutto da godere e assaporare.
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Commenti
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Dalle tue parole direi quindi promosso!
Mi chiedo sempre: ma tra vita privata, comparsate, presentazioni di libri, partecipazioni a festival letterari, scrittura, eventuale lettura di grandi opere letterarie e non. etc, ma quando certi scrittori (non uso il termine autori dalla etimologia latina augere) hanno tempo di scrivere a tambur battente i propri prodotti? Questo è il vero mistero...
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