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L'angoscia di una detenzione forzata.
Non posso negare di essere rimasto un po’ sconcertato nell’iniziare a leggere questa opera della Barbato, autrice che non conoscevo e sulla quale, prima di procedere, mi sono documentato. Ho appreso che è essenzialmente una fumettista, famosa soprattutto per le sceneggiature di una lunga serie di albi di Dylan Dog e per alcuni romanzi dalle tematiche particolari. “Zoo” andrebbe letto dopo il gemello “Io so chi sei”, del 2018, e allora, forse, sarebbe più comprensibile. La storia è drammatica e allucinante: una ragazza, Anna Baroni, si ritrova, non si sa come e perché, rinchiusa in un carrozzone da circo, accostato ad altri carrozzoni in uno spiazzo desolato alla periferia della città. Altri disgraziati sono rinchiusi come Anna, narcotizzati periodicamente da un fantomatico aguzzino che di tanto in tanto pulisce le gabbie, li nutre, rinnova la paglia dei giacigli, senza mai farsi vedere né mai profferire parola. L’incubo prosegue per giorni, settimane, mesi, le povere vittime ridotte ad animali lerci e puzzolenti, con proprie caratteristiche (si parla infatti di iene, leoni, coccodrilli, scimmie…), senza apparenti speranze di fuga, nell’isolamento assoluto. Si va avanti così per 24 lunghi capitoli, senza che succeda nulla di determinante: si attende un colpo di scena, un intervento dall’esterno, una rivelazione purchessia, ma nulla accade. Solo schermaglie tra i reclusi, insulti reciproci, simpatie e antipatie, che via via caratterizzano i prigionieri: la detenzione forzata forgia il carattere di Anna, che, prima schiva e timorosa, diventa con il passare delle settimane aggressiva e dominante, suscitando liti e attizzando rivalità tra i compagni di sventura. Ma tutto il resto è noia, come canterebbe Califano, fino agli ultimi capitoli: la nostra Anna riesce a cavarsela, non rivelerò come, e tutto sembra finire lì. Nei ringraziamenti l’autrice rammenta la derivazione del romanzo dal precedente “Io so chi sei”, e conferma la sua “caparbietà” nel perseguire un’idea, che probabilmente si tradurrà in un altro romanzo sullo stesso filone narrativo. Devo confessare che “Zoo”, considerato isolatamente, non mi ha procurato particolari emozioni: l’attività fumettistica della Barbato si riflette nello stile narrativo, stringato, secco, concitato, con frequenti suoni onomatopeici (tipici dei fumetti) e una rappresentazione grafica talora originale. Mi riprometto di leggere gli altri romanzi della Barbato per un giudizio più motivato: del resto ci saranno pur validi motivi se l’autrice ha un séguito di fan appassionati, e se è stata definita “la regina italiana del thriller”.