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Il percorso di Giona
Credo non sia sempre facile approcciarsi all'esordio letterario di uno scrittore. Occorre superare quello scetticismo che ti porta a pensare quanto, magari, possa essere meglio dedicare il proprio tempo ad un autore noto piuttosto che ad uno sconosciuto che si affaccia sul mercato editoriale, proponendoti chissà che cosa. Invece una volta superata la possibile diffidenza iniziale, la scoperta di un nuovo autore può trasmetterci la piacevole sensazione di avere individuato una "nuova penna" da tenere d'occhio. Filippo Tapparelli, vincitore del Premio Calvino 2018 con questa sua opera prima, riesce a dimostrare un certo talento creativo e narrativo raccontandoci una storia dalle tinte fosche, tragiche e drammatiche, con alcuni personaggi di assoluto spessore ed un'ambientazione oscura. Giona, il ragazzino spaurito e senza memoria ("Non ho ricordi di quando ero piccolo, non ne ho nemmeno uno") che vive con il nonno Alvise duro, autoritario, violento e dominante, sono i veri protagonisti di un romanzo claustrofobico ambientato in un paesino di montagna immerso nella nebbia, isolato e fuori dal mondo e dal tempo ("Qui il tempo è bloccato in un oggi senza ieri, che non diventerà mai domani"). Alvise in particolare, si staglia al di sopra di tutto e tutti, vestendo i panni del rigido educatore di Giona ("La sapienza, Giona, si acquisisce attraverso la sofferenza. Deve essere così. Diffida da chi impara con gioia, perché ciò che si apprende senza dolore, altrettanto facilmente si dimentica"), autentico padre-padrone dell'intero paese, penetra nelle menti dei suoi abitanti, sembra sostenere da solo l'equilibrio del luogo ("Tutto il paese gira attorno a lui. Alvise al centro e tutti gli altri attorno") .
Partendo da queste premesse Tapparelli costruisce una narrazione avvincente in cui è possibile assistere al percorso di progressiva presa di coscienza da parte del giovane Giona, come si trattasse di un romanzo di formazione in cui la maturazione psicologica viaggia di pari passo con il tema della memoria, del ricordo, della riscoperta delle proprie radici e della famiglia. Un percorso in cui Giona viene accompagnato da una sorta di mentore, di un "Virgilio sui generis" in grado di fargli attraversare la selva oscura e che assume le sembianze di una misteriosa bambina accompagnata da un gatto nero, fino ad un epilogo che sa tanto di catarsi, di svelamento, di superamento di quell'inverno oscuro che si porta dentro e che lascia attoniti.
In definitiva trattasi di un'opera prima che si legge con piacere e che non lascia indifferenti, anche se, a mio avviso, non risulta priva di alcuni difetti come diversi rallentamenti nel ritmo della narrazione a causa di lunghe descrizioni assolutamente ben scritte ma talvolta eccessive e ridondanti.
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