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Il pianto dell'alba. Ultima ombra per il commissario Ricciardi
 
Il pianto dell'alba. Ultima ombra per il commissario Ricciardi 2019-07-14 22:30:26 Giuseppe Corlito
Voto medio 
 
2.0
Stile 
 
2.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
2.0
Opinione inserita da Giuseppe Corlito    15 Luglio, 2019

Brutta fine del Commissario Ricciardi

Quest'ultima puntata della serie non è all'altezza delle precedenti e sinceramente per chiudere il suo ciclo il tormentato commissario Ricciardi, che mi sta anche simpatico come la sua città, Napoli, meritava di meglio. Nei ringraziamenti finali (p. 265) De Giovanni ne rivolge uno a se stesso, che può funzionare da "spia semantica": "E all'autore, alla fine del cammino, lasciate il dolore di non riuscire a cambiare la storia che vede". Sembra alludere alla fine della vena creativa relativa al suo personaggio, oltre che più sottilmente alle storie che Ricciardi è costretto a vedere suo malgrado.
Ricciardi ha coronato il suo sogno impossibile e contro ogni aspettativa ha sposato Enrica, la creatura prodotta dalla fantasia dell'editor di "Stile libero" recentemente scomparso, Severino Cesari, ed aspetta un figlio. E' angosciato che nasca un figlio con gli occhi verdi come i suoi e quindi portatore della maledizione di veder e i morti nel momento del loro trapasso violento. Questa storia si intreccia con un delitto "politico" un po' strampalato: l'ex spasimante di Enrica, il maggiore tedesco Manfred, viene ucciso coinvolto suo malgrado nell'operazione Colibrì, la notte dei lunghi coltelli, con cui nel luglio 1934 Hitler si disfà delle ingombranti SA, le camice brune di Rhom. Del delitto è accusata ad arte la cantante Livia Lucani, sposata Vezzi, che ama disperatamente Ricciardi. Il solito trio, il Commissario, il fido brigadiere Maione e il medico antifascista Modo si adopereranno per risolvere la montatura del delitto con l'aiuto insperato della tata Nelide e del Femminiello Bambinella. Come si capisce, il "cast" c'è tutto con gli stilemi ormai assodati nelle puntate precedenti. La novità caso mai è che il giallo si colora con una spy story, che rappresenta i servizi segreti dell'epoca, l'Ovra fascista con al centro il solito Falco, divisi in varie fazioni che hanno motivazioni tipicamente italiote di potere carrieristico. Non racconto il finale per non rovinare la suspance dei possibili lettori. Solo che ci troviamo di fronte ad una ripetizione un po' sbiadita con un'unica eccezione davvero godibile: la scena in cui Nelide porta in commissariato un testimone chiave, recuperato attraverso il bell'ortolano Tanino 'o Sarracino (pp. 219-223). Nelide ci fa una figura all'altezza della sua fama - in tutto il romanzo - condita dalle variazioni dialettali dei suoi proverbi cilentani. La fine del romanzo non si risolve con un'agnizione catartica, come il lettore è abituato ad aspettarsi, ma con una sorta di condanna irrevocabile alla dannazione di Ricciardi. Non è che ho la pretesa del lieto fine, una chiusa pessimista non mi delude, ma la fine del romanzo (e peggio ancora della serie) è del tutto appiccicata dal punto di vista narrativo a tutto il resto. E' un esito drammatico del tutto ingiustificato dalla procedere della trama del romanzo. Forse si adombra (ma non con la chiarezza dovuta) un destino irrevocabile, quello di Ricciardi.
L'aspetto positivo - nell'epoca buia in cui siamo costretti a vivere che ha tante analogie con i tetri anni Trenta del secolo scorso, i quali sono il contesto della serie - è il riuscito carattere antifascista della narrazione (ad es. p. 42 o p. 73), grazie al dottor Modo, ma anche al rigore morale di Ricciardi e di Maione. Non torna il linguaggio. Chi negli anni Trenta avrebbe detto "indagheremo a modo nostro, sottotraccia" (p. 45)? o "il dottore che l'ha pigliata in carico" (p. 100)? Sono evidentemente espressioni del nostro tempo. De Giovanni utilizza un linguaggio medio, piegato alla scorrevolezza del racconto, che non richiede molti sforzi al lettore (il libro si può leggere in 3-4 giorni senza grandi impegni di tempo). Ma la forma letteraria ne risente notevolmente. Forse da un "giallista" non ci si può aspettare di più, ma dal talento narrativo dell'autore sì. Sembra che nelle ragioni di questo libro, come delle serie che De Giovanni ha prodotto, prevalgano le logiche commerciali, compresa nella decisione di chiudere con lo sfortunato Ricciardi.

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