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La fine come il principio...
«Ma in quest’attimo che precede l’alba – insieme al soffio del vento giovane che ha già solcato il mare col suo carico di sabbia e di dolore – entra dalla finestra aperta il canto lontano di una donna, la paura domina. Perché è l’ora senza barriere, l’ora del tragitto breve fra i sentimenti e i pensieri. L’ora in cui il domani ha il colore che ha, senza l’abbellimento del vano ottimismo»
Napoli, anno 1934. Il Commissario Luigi Alfredo Ricciardi ha conosciuto per la prima volta la felicità: da quasi un anno è sposato con la sua Enrica, la dirimpettaia adesso in dolce attesa del suo primogenito (o primogenita) con cui ha instaurato una deliziosa, serena e felice vita coniugale. È un uomo diverso, Ricciardi. Sorride, sorride, sorride. Nelide, Maione, Modo e tutti gli altri protagonisti che abbiamo conosciuto nei precedenti capitoli, faticano a riconoscerlo tanto è cambiato, tanto il suo sguardo si è ammorbidito, tanto i suoi occhi verdi si sono fatti quieti. Tuttavia, in una domenica straordinaria di servizio, al suo ritorno dal lavoro in tarda serata, eccoli ritornare quegli occhi verdi intrisi di un dolore antico. Eccoli solcare nuovamente la soglia di casa e del cuore, eccoli far nuovamente capolino nell’animo di un uomo già condannato a sopportare sofferenze arcaiche e primordiali. Perché Ricciardi è chiamato a non indagare su un fatto di omicidio che vede quali protagonisti due persone intrinsecamente collegate alla sua vita e a quella di Enrica e più precisamente viene intimato di cessare ogni inchiesta sulla morte del maggiore della cavalleria germanica Manfred Kaspar von Brauchitsch, decesso presuntivamente avvenuto per mano della signora Lucani Livia, vedova Vezzi e sua amante. Ma può Luigi Alfredo voltare lo sguardo ad un’amica che più volte lo ha aiutato? Può cedere alle angherie dei vertici? Alle presunzioni di un potere radicato a Roma e che dall’alto intima, minaccia e millanta? Può far questo in una città ove tutto «è una ragnatela, e se muovi un filo si muove tutto: e se si sa interpretare il movimento, allora si risale a come stanno le cose»? No, non può.
La paura, nuove responsabilità, nuove perdite, una rinnovata sofferenza. Perché tutto ha un inizio e tutto ha una fine e in questo caso il perfetto ciclo si conclude riportando alle origini, riportando al principio. A far da retroscena il susseguirsi di un periodo storico che si snoda pagina dopo pagina e che non tralascia nemmeno realtà quali le carceri e i manicomi.
Dodicesimo capitolo delle avventure dedicate ad uno dei commissari più amati, “Il pianto dell’alba” è un libro che conduce verso un epilogo a doppia interpretazione perché seppur sappia di malinconia e di addio cela al suo interno la possibilità di un ritorno, di un nuovo capitolo o addirittura di una nuova serie da questa principale sviluppata. È un elaborato solido, ben costruito, che si concentra sul giallo ma che non tralascia l’aspetto emotivo e personale di ciascun personaggio e che cattura il lettore sin dalle prime pagine.
Un romanzo che ha tanto da dire e da lasciare, un romanzo che fa riflettere, battere il cuore, commuovere e sperare, un romanzo dove dolcezza e retrogusto amaro sono ben calibrati tra loro. Un romanzo da leggere.
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Commenti
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Non è stato semplice recensirlo, lo ammetto. Per tanti motivi. Per il contenuto, per quel che accade, ma in particolare per la paura di dir troppo, di svelare un qualcosa che non deve essere svelato per non guastare la lettura agli altri, per non rovinare una serie che ha conquistato così tanti lettori. Sapere di esserci riuscita, mi rincuora. Te ne ringrazio.
Aspetto con trepidazione di sapere cosa ne pensi così da poter confrontare le nostre opinioni e le nostre impressioni. Tienimi aggiornata e grazie ancora.
Maria
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Già in passato De Giovanni è andato vicino ad uccidere il suo personaggio. Non oso immaginare cosa abbia ideato adesso.
Comunque grazie mille per la segnalazione.
Appena terminate le letture che ho in corso correrò a procurarmi il libro