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L'isola che non c'è
Antonio Sarti è un insolito questurino di Bologna, personaggio forse banale, un vinto dalla vita, ma talmente serio e dignitoso da non accorgersene lui stesso neanche se glielo fanno notare. Una persona limitata, semplice, di scarso acume investigativo, ma a modo suo è la quintessenza della pulizia morale, della correttezza e della giustizia; come il suo autore è anche lui originario dell’Appennino emiliano, e perciò pregno di valori semplici e cristallini come l’acqua sorgiva delle sue montagne. Tramite Sarti, tout court, Loriano Macchiavelli ci parla essenzialmente dell’amore croce e delizia della sua esistenza: l’Emilia, e Bologna in particolare. E però la Bologna che Macchiavelli ama è cambiata, non è più la sua Bologna, non è più Bologna la dotta, con la sua università plurisecolare, la sua cultura, la sua avanguardia artistica. Ha perso con gli anni i connotati di città aperta ed accogliente, città delle idee nuove, originali e innovative, della libera diffusione delle stesse, città di lettere e di arte, di politica e di incontri, di vita notturna passeggiando a lungo di notte sotto i portici, di discussioni e filosofia, di donne e amore per la vita. Non è più Bologna la grassa, città del buon cibo emblema del vivere conviviale e bonario, delle osterie come punto di aggregazione sociale al di là di ogni censo, luoghi di incontro e di scambio umano e multiculturale, Bologna accogliente con il welfare all’avanguardia, tutta per i diseredati, Bologna la rossa, Bologna città della Resistenza nata e cresciuta nei valori della Resistenza, Bologna isola felice. La Bologna capoluogo dell’Emilia ingegnosa e operosa, con gli operai che producevano ricchezza e ne condividevano i frutti, l’Emilia della Ferrari, della Maserati, della Lamborghini, l’Emilia del Parmigiano reggiano e del prosciutto di Parma, l’Emilia degli agrari e della terra ai contadini, l’Emilia delle coop rosse e della pace sociale, l’Emilia che funziona, l’Emilia esemplare, fiore all’occhiello della sinistra in Italia. Bologna non è più un’isola felice, non è felice, e si dubita che tornerà ad esserlo. Sarti Antonio non è che un testimone di Macchiavelli; davanti ai suoi occhi di questurino sono passati tutti gli eventi delittuosi che hanno fatto della città una metropoli ferita a morte, troppe volte violata: dalla strage dell’Italicus a quella del rapido 904, dalla Uno bianca all’aereo di Ustica, fino all’ultimo, sporco, estremo insulto alla città e al Paese, la strage della stazione del 2 agosto 1980. Ferite gravi, da cui è difficile riprendersi, e la città non si è mai ripresa, benché il “…cardinale Biffi l’abbia definita città sazia e disperata”, come riporta Macchiavelli stesso. Quando un suo amico, uno dei pochissimi che ha, un clochard semplice di nome Settepaltò è aggredito e picchiato a sangue, Sarti si ribella, il suo senso della giustizia a gran voce pretende la giusta riparazione a quella che considera un’infamia, un pestaggio ancora più grave perché portato a danno di uno degli ultimi della scala sociale, proprio per questo più caro a Sarti. L’indagine, semplice e complicata insieme, porta Sarti a sollevare il velo del passato su uno dei più tragici eventi bellici dell’Emilia e dell’umanità intera: le stragi naziste di Sant’Anna di Stazzena, Marzabotto e di Monte Sole, “il più vile sterminio di popolo, voluto dai nazisti di Von Kesserling, e dai soldati di ventura dell’ultima servitù di Salò, per ritorcere azioni di guerra partigiana” come recita Quasimodo nella stele commemorativa di quelle barbarie. Non solo, le indagini di Sarti rievocano dolorosamente tanto altro, miseri fatti della storia reale italiana assai più recenti, complicità politiche, interessi di parte, e quello che è peggio nulla di inventato da Macchiavelli, tutti fatti storici noti a chiunque voglia rievocarli nella loro cruda interezza e da evitare assolutamente di far cadere nel dimenticatoio. Cronache reali che concernono personaggi nefasti come il Maggiore delle SS Walter Reder, e le complicità, le coperture, gli appoggi di cui ha goduto, appena di recente, presso le nostre istituzioni cosiddette democratiche. Un romanzo quindi che è una denuncia, e non è la prima volta, è nello stile di Loriano Macchiavelli: da uomo colto sa benissimo che il titolo corretto del romanzo di Fedor Michajlov Dostoevskij è Delitto e Castigo, e non delitti senza castigo, non può umanamente sussistere un’infamia che non riceva la giusta punizione. Macchiavelli denuncia chiaramente, e incita allo sdegno, e alla vigilanza perché la storia non si ripeta: “…di cosa ci stupiamo oggi, se non ci siamo incazzati ieri?” E giustamente: perchè restando inerti, è facile passare da “Prima gli italiani” e “La pacchia è finita” alla “Difesa della Razza” e alla “Soluzione finale”. E’ già successo. Loriano Macchiavelli lo dice chiaramente, per il tramite di Sarti Antonio: tornare ai valori della Resistenza, al vivere civile, alla democrazia, al rispetto delle regole, alla stretta osservanza della nostra Costituzione nata da quei fatti, è l’unica via perché Bologna, torni a essere l’isola felice, e con lei l’Emilia, e il paese intero. Che oggi come oggi, sono solo l’isola che non c’è.